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LA DONNA DEL MARE


La Donna del Mare

DRAMMA IN CINQUE ATTI

di

ENRICO IBSEN

Traduzione italiana
del Prof. Paolo Rindler ed Enrico Polese Santarnecchi.

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI.


PROPRIETÀ LETTERARIA

Chi intende valersi di questa commedia per la recita, deve assolutamente ottenerne il permesso dalla Società Italiana degli Autori, Corso Venezia, 6, Milano.

Milano. — Tip. Treves. — 1912.


[1]

PERSONAGGI

Giovani della città, touristes, bagnanti.


L’azione si passa in una piccola città della Norvegia del Nord. E’ d’estate.

Epoca presente.

[3]

ATTO PRIMO.

A sinistra la casa del dott. Wangel con una grande veranda coperta e fornita di mobili. Avanti e tutto intorno giardino. Al di sotto della veranda un’asta con bandiera. A destra, del giardino, una pergola e sotto questa un tavolo e delle sedie: nel fondo della scena una siepe con una piccola porta. Dietro la siepe una via fiancheggiata d’alberi, che si prolunga fino alla spiaggia. Attraverso gli alberi si vedono i fiordi, e, in lontananza, la sommità delle grandi rocce. E’ un mattino d’estate, caldo, luminoso e chiaro.

SCENA I. Ballested e Violetta.

(Ballested, uomo di mezza età, indossa una vecchia giacca di velluto ed ha in capo un cappello d’artista a larghe tese, sta vicino all’asta e ne tira le corde. La bandiera è in terra. Vicino c’è un cavalletto su cui è posata una tela, sopra un pliant una tavolozza, dei pennelli, colori, ecc.)

(Violetta entra dalla porta aperta della stanza che dà sul giardino. Ha un gran vaso di fiori in mano che depone sulla tavola).

Viol. Ebbene, Ballested, siamo avanti?

Ball. Certo signorina, era una roba da poco.... Ma, mi permetta una domanda: deve arrivare qualcuno oggi?

[4]

Viol. Sì, aspettiamo il professore Arnholm che deve essere sbarcato questa notte.

Ball. Arnholm!... Aspetti.... è forse quel professore che qualche anno fa era qui come precettore?

Viol. Appunto lui.

Ball. To’ guarda!... Egli ritorna dunque in questa casa benedetta!

Viol. Ed è appunto in suo onore che issiamo la bandiera.

Ball. Ho capito (Violetta rientra in casa).

SCENA II. Ballested e Lyngstrand.

(Ballested continua il suo lavoro. Poco dopo arriva dalla destra, che è dietro la siepe, Lyngstrand il quale vedendo il cavalletto ecc. si ferma sorpreso. Lyngstrand è un giovane magro, d’aspetto malaticcio. Veste semplicemente, ma con proprietà).

Lyng. (dall’altro lato della siepe) Buon giorno.

Ball. Oh!... Buon giorno (issa la bandiera) Ora va bene! (assicura la corda e poi va al cavalletto per lavorare) Buon giorno, signore, ma non ho il piacere di....

Lyng. Lei è pittore, senza dubbio?

Ball. Sì. Perchè non dovrei esserlo?

Lyng. Me ne sono accorto. Mi permette d’entrare?

Ball. Vorrebbe vedere la mia tela?

Lyng. Ne ho un gran desiderio.

Ball. Non è gran cosa. Entri pure, prego....

Lyng. Grazie, signore. (entra dalla porta della siepe).

[5]

Ball. (dipingendo) Questo quaggiù, tra le isole, è il fiordo...

Lyng. Sì, si, lo vedo.

Ball. Mi manca ancora la figura: ma mi è stato impossibile trovare una modella in tutta la città.

Lyng. Ah! lei vuol metterci anche una figura?

Ball. Qui, su questi scogli vi dovrà esser dipinta una sirena morente.

Lyng. Perchè morente?

Ball. Perchè ella si è smarrita e non può più ritrovare la via che la conduce al mare. Rimane quindi imprigionata tra gli scogli ed è agonizzante. Ha compreso la mia idea?

Lyng. Perfettamente.

Ball. E’ stata la padrona di casa a darmene l’idea.

Lyng. E qual nome darà al suo quadro?

Ball. Ho intenzione di chiamarlo «la fine della Sirena».

Lyng. Ben appropriato. Lei potrà fare certamente una bell’opera d’arte.

Ball. E’ anche lei, forse, del mestiere?

Lyng. No, io non sono pittore, ma spero di diventare scultore. Mi chiamo Hans Lyngstrand.

Ball. Vuol divenire scultore? Benissimo, benissimo! Anche la scultura è un’arte che ha i suoi pregi! un’arte gentilissima. Ma mi pare di averla incontrata altre volte. E’ molto tempo che lei è qui?

Lyng. No, solo da quindici giorni; però penso di fermarmi tutta l’estate.

Ball. Per approfittare delle distrazioni della stagione dei bagni, non è vero?

Lyng. Sì, bisogna che mi curi, che riacquisti le forze.

Ball. Ma lei non è ammalato!

Lyng. Sono un po’ debole, ma nulla di grave però. Mi sento soltanto un po’ di oppressione.

Ball. E’ una cosa da nulla. Però sarebbe bene che lei consultasse qualche medico di vaglia.

[6]

Lyng. Ho intenzione di parlarne col dottor Wangel.

Ball. Farà bene. (guarda a sinistra) Ecco che arriva un altro battello a vapore carico di passeggeri. In questi ultimi anni il concorso dei forestieri ha preso uno sviluppo veramente sorprendente.

Lyng. Mi pare difatti che vi sia gran concorso di gente.

Ball. I bagnanti sono numerosissimi, tanto che quasi temo che questa invasione straniera non debba far perdere alla nostra città la sua primitiva fisonomia.

Lyng. Lei dunque è del paese?

Ball. Nossignore, ma ormai mi ci sono accla... accli.... acclimatato. A questo paese mi legano vincoli di abitudini e di tempo.

Lyng. Ed è già un pezzo che è qui?

Ball. Da 18 anni circa. Vi arrivai allora con una compagnia di comici, che non avendo fatto buoni affari, si sciolse e noi tutti ci sbandammo, io però....

Lyng. Lei però rimase in città.

Ball. Sì, e feci bene. Allora non ero che un semplice decoratore.

SCENA III. Violetta e Detti.

(Violetta entra sulla terrazza portando una sedia a dondolo che colloca a sinistra).

Viol. (parlando all’interno) Hilda, porta anche lo sgabello per papà.

Lyng. (avvicinandosi alla terrazza e salutando) Buon giorno, signorina Wangel.

[7]

Viol. (sui gradini) Lei qui, signor Lyngstrand! Buon giorno. Mi permetta un momento, bisogna che.... (rientra in casa).

Ball. Lei conosce la famiglia?

Lyng. Non molto: ho incontrato qualche volta le signorine e pochi giorni fa ho parlato con la signorina Wangel, al Belvedere, durante il concerto. Essa mi ha anche invitato a venirla a visitare.

Ball. Procuri di frequentare questa casa.

Lyng. E’ mia intenzione. Desidererei anzi poter andare a far visita a queste signore, ma mi occorre una scusa, un pretesto....

Ball. Oh! un pretesto. (guardando a sinistra) Perbacco! (raccogliendo colori, pennelli, ecc.) Il battello è già alla riva. Bisogna che corra all’albergo: forse i forestieri avranno bisogno di me. Perchè, le debbo dire, che io faccio anche il parrucchiere.

Lyng. Lei sa dunque far di tutto?

Ball. Bisogna sapere accli... accla.... acclimatarsi e fare un po’ di tutto nelle piccole città. Se caso mai avesse bisogno di pomata, d’olio, di cosmetico, di sapone.... non ha che a domandare di Ballested, maestro di ballo.

Lyng. Maestro di ballo?

Ball. Presidente dell’Associazione dei coristi, se le piace meglio. Questa sera avremo un concerto al Belvedere. Arrivederci signore (Esce dalla porta che s’apre nella siepe, con la scatola dei colori, cavalletto, ecc.).

[8]

SCENA IV. Lyngstrand, Violetta, Hilda.

(Hilda appare sulla terrazza con lo sgabello. Violetta porta nuovi fiori. Lyngstrand saluta Violetta).

Hilda. (appoggiandosi al parapetto della terrazza e senza rispondere al saluto) Violetta mi diceva che lei, oggi, ha avuto il gran coraggio di entrare in casa nostra.

Lyng. Sì, signorina, mi sono presa questa libertà.

Hilda. Ha fatto la sua passeggiata mattutina?

Lyng. Questa mane non ha durato a lungo questa passeggiata.

Hilda. Ha già fatto il bagno?

Lyng. Or ora. Ho visto anche la sua signora madre che entrava nella cabina.

Hilda. Mia madre!

Lyng. Sì, sua madre.

Hilda. Ah! sì! (posa lo sgabello davanti alla poltrona).

Viol. (interrompendo Hilda) Ha veduto il canotto di papà?

Lyng. Ho visto infatti un canotto che si dirigeva verso la città.

Viol. Dev’essere quello. Papà è andato a visitare dei malati alle isole.

Lyng. (sul primo gradino della terrazza) Come ha disposto bene questi fiori! Oggi è dunque giorno di festa.

Hilda. Sì.

Lyng. Forse il compleanno del loro padre?

Viol. (prevenendo Hilda) Hem!... hem!

[9]

Hilda. (senza badare ai segni di Violetta). No, della mamma.

Viol. (con un tono di rimprovero) Hilda!

Hilda. Lasciami in pace (a Lyngstrand) Adesso ritornerà a casa per la colazione?

Lyng. (scendendo lo scalino) Sì, vado a mangiare un boccone.

Hilda. Si sta bene, all’albergo?

Lyng. Non abito più all’albergo: era troppo caro.

Hilda. E dove abita adesso?

Lyng. Dalla signora Jensen.

Hilda. Jensen?

Lyng. La levatrice.

Hilda. Scusi, signor Lyngstrand, ma ho da sbrigare qualcosa.

Lyng. Mi scusi signorina, io non dovevo dire....

Hilda. Che cosa?

Lyng. Quello che ho detto....

Hilda. (con sussiego) Non capisco.

Lyng. È naturale. Frattanto permetta ch’io mi ritiri...

Viol. (sui primi gradini della terrazza) Arrivederci signor Lyngstrand. Voglia scusarci per oggi, ma più tardi, quando non saremo tanto occupate, ci farà piacere se viene a salutarci ed a salutare nostro padre.

Lyng. Col più grande piacere, non domando di meglio. (saluta ed esce dalla porta del giardino — sulla strada saluta un’altra volta).

Hilda. Buon giorno, e tanti saluti per me alla signora Jensen.

Viol. (a mezza voce e prendendola per un braccio) Hilda, non fare la cattiva. Ti potrebbe sentire.

Hilda. Non me ne importa nulla.

Viol. (guardando a destra) Ecco papà.

[10]

SCENA V. Dette e Wangel.

(Il dottor Wangel è in abito da viaggio con una piccola borsa in mano — entra da destra).

Wan. Eccomi, figlie mie.

Viol. (andandogli incontro) Buon giorno papà.

Hilda. (andando anch’essa verso Wangel) Hai finito, per oggi?

Wan. Probabilmente bisognerà che faccia una corsa in città. Arnholm è arrivato?

Viol. Sì, questa notte, ed è sceso all’albergo.

Wan. Dunque non l’avete veduto?

Viol. No, dovrebbe venire a momenti.

Hilda. (portandolo verso la terrazza) Guardati un poco attorno.

Wan. (scorgendo i fiori) Vedo, vedo, ragazze mie: si direbbe che oggi è un giorno di festa. Brave.... brave.... E siete sole in casa?

Hilda. Sì, lei è andata a fare....

Viol. (interrompendola) Mamma è andata al bagno.

Wan. (guarda Violetta con benevolenza, le mette una mano sul capo — poi, con esitazione) Ascoltatemi, figlie mie. Avete intenzione di lasciare tutto il giorno quei fiori sulla terrazza e questa bandiera.

Hilda. Certamente; e troverai giusto che....

Wan. Sì.... sì.... ma ecco vedete...

Viol. (facendogli dei segni) Babbo, è per il professore Arnholm. È naturale che quando arriva un amico come lui....

Hilda. (sorridendo e scuotendolo per un braccio) Lui che fu il professore di Violetta....

[11]

Wan. (sorridendo) Siete due maliziose! Voi trovate naturalissimo che noi ci ricordiamo di quella che non è più tra noi: e sia pure. Intanto Hilda, prendi la mia valigia; (le dà la valigia) e portala nel mio studio. Ebbene no, figlie mie, questa festa non mi piace, non mi piace che ogni anno voialtre.... mi capite?... Insomma, bisogna che faccia sempre quel che volete voi.

Hilda. (andando a sinistra con la valigia) Se non mi sbaglio credo di vedere laggiù il professore.

Viol. (guardando) Lui! (ridendo) Ma che, credi forse che sia Arnholm, quel buon uomo là?..

Wan. Eppure è lui.... non vi è alcun dubbio.... Sì, sì, è lui.

Viol. (guardandolo sorpresa) Dio mio! È proprio lui!

SCENA VI. Arnholm e Detti.

(Il professore Arnholm in elegante abito da mattina, con occhiali d’oro e un bastoncino in mano appare in fondo al viale. Ha l’aria stanca. Guarda in giardino — saluta ed entra).

Wan. (andandogli incontro) Sia il benvenuto, professore. Non può credere con quanto piacere la rivedo in questi luoghi che le sono tanto noti.

Arn. Grazie, dottore, mille volte grazie. (gli stringe la mano e vengono tutti e due al proscenio) E son queste le bambine? (stendendo loro le mani) Non le avrei riconosciute.

Wan. Lo credo bene.

Arn. Nonpertanto, Violetta.... Violetta sì, l’avrei riconosciuta.

[12]

Wan. Sono otto o nove anni che lei non ci vede; da allora sono avvenuti tanti mutamenti.

Arn. (guardando attorno) Non mi pare: sono cresciuti gli alberi, si è abbellito il giardino; ecco tutto.

Wan. La scena, infatti, è sempre la stessa.

Arn. (sorridendo) Ed ora ha due ragazze da marito.

Wan. Per ora una sola.

Hilda. (tra sè) Grazie. Non è gentile papà.

Wan. Vogliamo andare sulla terrazza? Là si gode più fresco. (vanno sulla terrazza. Wangel fa sedere Arnholm sulla sedia a dondolo). Lei ha bisogno di riposarsi, si vede che è ancora stanco dal viaggio.

Arn. Non molto; tra questi splendidi panorami non si sente neppur la stanchezza.

Viol. (a Wangel) Tra poco qui farà troppo caldo, vuoi che vada in salone a preparare gli sciroppi e della soda?

Wan. Fa come ti piace; ed anche del cognac, se qualcuno ne desidera.

Viol. Va bene (a Hilda) Porta la valigia nello studio. (Violetta entra in casa e chiude l’uscio. Hilda prende la valigia, scende in giardino e va a sinistra dietro la casa).

SCENA VII. Arnholm e Wangel.

Arn. (che ha seguito sempre con gli occhi Violetta) Quanto è bella!... Quanto sono belle le sue figlie, dottore.

Wan. (sedendosi) Le pare?

Arn. Violetta mi ha sorpreso ed anche Hilda. [13] Ma lei, dottore, vuole dunque passare tutta la sua vita in questi luoghi?

Wan. Che vuole! È qui che sono nato, è qui che ho vissuto felice con colei, con la mia moglie adorata, che mi ha lasciato troppo presto. Lei l’ha conosciuta, Arnholm, l’ha veduta, l’ultima volta che fu qui.

Arn. Sì, sì.

Wan. Ora sono felicissimo anche con quella che ha preso il posto della prima. Debbo convenire che fui preferito dalla sorte.

Arn. Ha avuto figli dal secondo matrimonio?

Wan. Un figlio due anni e mezzo fa, ma è morto solo dopo cinque mesi!

Arn. Non è in casa sua moglie?

Wan. Sarà qui a momenti. È andata al bagno: ci va tutti i giorni anche se fa cattivo tempo.

Arn. È forse ammalata?

Wan. Ammalata no, da qualche anno è nervosissima. Il suo male è intermittente; non so quello che abbia, i bagni sono il suo maggior piacere. Il mare, si può dire, che le sia necessario.

Arn. Mi ricordo infatti....

Wan. (con un sorriso quasi impercettibile) Lei la deve avere conosciuta quando era professore a Skjoldvik?

Arn. È vero. Veniva spesso a trovare il pastore, eppoi la vedevo ogni volta che mi recavo da suo padre, al faro.

Wan. Il suo soggiorno al faro ha lasciato nella sua anima delle tracce indelebili. Qui nessuno la comprende e tutti la chiamano la donna del mare.

Arn. Davvero?

Wan. Appunto questa sua passione. Parlatele di quei giorni, caro Arnholm, le farà molto bene.

Arn. (guardandolo dubbioso) Crede?

Wan. Ne sono sicuro. (si ode la voce di Ellida).

Ell. (di dentro) Wangel, sei in giardino?

Wan. (alzandosi) Sì, mia cara.

[14]

SCENA VIII. Ellida e Detti.

(Ellida appare sul viale, dietro la siepe. Ha uno scialle sulle spalle e tutti i cappelli sciolti perchè ancora bagnati).

Wan. (sorridendo e stendendogli la mano) Sirena.

Ellida. (sale la terrazza e prendendogli la mano) Dio sia lodato! Ti ritrovo finalmente. Quando sei arrivato?

Wan. Poco fa. (indicando) Ma non saluti il nostro vecchio amico?

Ellida (stringendo la mano ad Arnholm) Oh, lei! Mi scusi se non mi sono trovata in casa per riceverla.

Arn. Non mi deve nessuna scusa, signora mia.

Wan. Era fredda l’acqua, oggi?

Ellida. Fredda? Mio Dio! Qui l’acqua non è mai fredda! È sempre tiepida. L’acqua dei fiordi non è buona!

Wan. (sorpreso) Non è buona?

Ellida. No, credo che ci renda anche ammalati.

Wan. (sorridendo) Non fai certo della réclame ai nostri bagni, tu.

Arn. Io credo, signora, che lei abbia una simpatia speciale pel mare e per tutto quanto concerne il mare.

Ellida. Forse ha ragione. Ma guardi le ragazze come hanno ornato di fiori la terrazza per farle onore.

Wan. (imbarazzato) Hem... (guardando l’orologio) Bisogna che vada.

Arn. È proprio per me?

[15]

Ellida. Ne dubita forse? Crede dunque che ci siano tutti i giorni? Auff! ma qui si soffoca. (scende in giardino) Venga con me, si respira meglio qui. (siede in giardino).

Arn. (avvicinandosi a Ellida) Qui però soffia.

Ellida. Lo sente lei che è avvezzo all’aria tiepida della capitale. Mi hanno detto che in estate ci fa un caldo insopportabile.

Wan. (che è disceso in giardino) Mia cara Ellida, puoi rimanere a fare un po’ di compagnia al nostro ospite?

Ellida. Hai da lavorare?

Wan. Ho da sbrigare qualche piccola cosa nello studio, poi voglio fare un po’ di toilette; ma non perderò troppo tempo.

Arn. Non si dia tanta pena, dottore; sua moglie ed io passeremo il tempo chiacchierando (siede vicino a Ellida).

Wan. (contento) Benissimo, arrivederci. (via dentro la casa).

SCENA IX. Ellida e Arnholm.

Ellida. (dopo breve pausa) Non si sta forse bene qui?

Arn. Benissimo.

Ellida. Chiamano questo viale, il mio viale perchè fui io che lo volli, o meglio, fu Wangel che lo fece fare per accontentarmi.

Arn. È questo il suo posto favorito?

Ellida. Vi passo la maggior parte delle mie giornate.

Arn. Con le ragazze?

Ellida. No, le ragazze stanno sulla terrazza.

[16]

Arn. E Wangel?

Ellida. O egli or va, or viene. Sta un po’ vicino a me, un po’ vicino a loro.

Arn. Fu lei a volere?...

Ellida. Non è forse bene? Noi possiamo parlarci anche a distanza, quando abbiamo qualche cosa da dirci.

Arn. (dopo breve pausa durante la quale si fa pensieroso) Quando la vidi l’ultima volta, eravamo a Skjoldvik. Quanto tempo è passato d’allora?

Ellida. Più di dieci anni...

Arn. Non meno. Là, al faro, mi ricordo benissimo che il pastore diceva che lei era una pagana perchè suo padre invece di un nome cristiano le aveva imposto il nome di un battello. Chi mi avrebbe detto allora che avrei dovuto ritrovarla qui, moglie di Wangel.

Ellida. In quel tempo Wangel non era ancora... viveva la prima signora Wangel, la madre delle ragazze, la loro vera madre.

Arn. Sì, però se anche Wangel fosse stato libero non avrei mai potuto prevedere questo matrimonio.

Ellida. Neppure io.

Arn. Wangel è così generoso, così buono con tutti....

Ellida. (con effusione) Sì, è molto buono!

Arn. I loro sentimenti debbono essere però, diametralmente opposti.

Ellida. È vero.

Arn. Perchè ha accettata questa unione?

Ellida. Mio caro signor Arnholm, non me lo chieda; non saprei spiegarle come avvenne, eppoi, se anche le dicessi ogni cosa non mi comprenderebbe.

Arn. Hem... (a voce più bassa) Ha mai parlato di me con suo marito? Ha accennato alle mie speranze d’un giorno, speranze.... deluse?

Ellida. Come può solo pensarlo? non gli ho detto [17] mai neppure una parola di... di quello a cui lei allude.

Arn. Tanto meglio, perchè mi avrebbe imbarazzato l’idea che...

Ellida. Si tranquillizzi. Gli ho detto soltanto, e questo è vero, che lei è il più simpatico ed il migliore di tutti i miei amici che avevo laggiù.

Arn. Grazie; ma perchè non mi scrisse più dopo la mia partenza?

Ellida. Pensai che le avrebbe recato dolore a sentire notizie, di una persona.... che non poteva mai essere ciò che lei avrebbe desiderato. Temevo che le mie lettere potessero incrudelire la ferita.

Arn. Forse ha fatto bene.

Ellida. E lei piuttosto perchè non mi ha mai scritto?

Arn. (guardandola con sorriso di rimprovero) Io? Dopo un rifiuto simile a quello che avevo ricevuto?

Ellida. Capisco. E da quel tempo non ha più pensato a prender moglie?

Arn. Mai. Son rimasto fedele ai miei ricordi.

Ellida. (con leggero tono d’ira) Ma lasci stare i tristi ricordi. Pensi piuttosto a diventare un marito fortunato.

Arn. E non ho tempo da perdere, signora mia, perchè ho quasi vergogna a confessarlo, ma 37 anni sono già suonati....

Ellida. Ragione di più per far presto. (breve pausa, poi con tono di voce seria ma affabile) Arnholm, le dirò una cosa che non potevo dirle allora.

Arn. Che cosa?

Ellida. Allorchè mi fece la sua domanda, non potevo risponderle diversamente.

Arn. Lei non mi offerse che dell’amicizia.

Ellida. Lei non sapeva come tutto il mio essere, tutti i miei pensieri non m’appartenevano più in quel tempo.

[18]

Arn. In quel tempo?

Ellida. Sì.

Arn. Come mai, se non conosceva neppur Wangel, allora?

Ellida. Non si tratta di Wangel.

Arn. No? Di chi dunque? In quel tempo a Skjoldvik non so trovare nessuno capace di inspirarle...

Ellida. Infatti fu una follìa.

Arn. Mi dica tutto.

Ellida. No, le basti sapere che non ero libera.

Arn. E se fosse stata libera, mi avrebbe dato un’altra risposta?

Ellida. Quando è venuto Wangel la risposta fu differente.

Arn. Per qual ragione mi racconta tutto ciò?

Ellida. (alzandosi inquieta e nervosa) Perchè sento il bisogno di confidarmi con qualcuno.

Arn. Suo marito dunque, ignora tutto?

Ellida. Fino dal principio le dissi che i miei pensieri erano altrove; non mi fece alcuna domanda e non ne abbiamo mai più parlato. In realtà non è stato che un momento di follìa che è finito presto.... o meglio che finirà presto...

Arn. (alzandosi) Come finirà?

Ellida. Arnholm, non ci è stato nulla di quanto lei può credere: è un caso bizzarro, non so nemmeno come esprimermi, e sono certa che lei mi darà della malata, o della pazza.

Arn. Sentiamo dunque questo segreto.

Ellida. Sì, tenterò. Son curiosa di vedere come saprà lei, uomo ragionevole, spiegare.... (lo guarda e si ferma) Ma vien gente; le racconterò tutto più tardi.

[19]

SCENA X. Detti e Lyngstrand.

(Lyngstrand viene dalla sinistra della strada ed entra in giardino. Ha un fiore all’occhiello ed in mano un gran mazzo di fiori avvolti in carta bianca e nastri rosa. Si ferma esitando innanzi alla terrazza).

Ellida. (facendosi vedere). Cerca le ragazze, signor Lyngstrand.

Lyng. (voltandosi) Oh! scusi, signora (saluta e si avvicina) Cercavo di lei, signora Wangel. Mi sono permesso di venire e...

Ellida. Ha fatto benissimo, lei è sempre il benvenuto.

Lyng. Grazie, signora... e siccome oggi è il giorno di festa....

Ellida. Oh! lo sa anche lei?

Lyng. Lo so, ed ecco perchè mi permetto offrirle anch’io questi fiori.... (li offre).

Ellida. Caro signore, non è a me che deve darli, bensì al signor Arnholm: è lui che si festeggia.

Lyng. (guardando Arnholm indeciso) Scusi, signora, ma io non ho l’onore di conoscere il signore. Io venivo per farle i miei auguri per il suo genetliaco.

Ellida. Il mio genetliaco? Lei s’inganna.

Lyng. (con un sorriso malizioso) Non credevo che fosse un segreto, il genetliaco della signora Wangel.

Arn. (fissando Ellida con uno sguardo interrogativo) Oggi? ma no; è un errore.

Ellida. (a Lyngstrand) Ma chi le ha detto...?

Lyng. La signorina Hilda, poco fa. Ero venuto qui [20] per pochi minuti stamane e vedendo tutto questo apparato di festa domandai alle signorine per quale ragione avessero messi tanti fiori sulla terrazza e issata la bandiera.

Ellida. Ebbene?

Lyng. La signorina Hilda mi rispose: perchè oggi è la festa della mamma.

Ellida. Della mamma?... Ah, sì.... infatti...

Arn. (tra sè) Ora comprendo (scambia un’occhiata di intelligenza con Ellida).

Arn. Giacchè il signore sa tutto io credo, che....

Ellida. (a Lyngstrand) Già, poichè lei sa....

Lyng. (porgendole i fiori) Dunque, mi permette di farle i miei auguri?

Ellida. (prendendo i fiori) Grazie, grazie mille, e voglia sedere un poco con noi. (siedono tutti). Questa mia festa doveva infatti essere un segreto per tutti.

Arn. Un segreto che noi forestieri non avremmo dovuto conoscere.

Ellida. (deponendo i fiori sulla tavola) È vero, che i forestieri....

Lyng. Le prometto che non farò parola con alcuno.

Ellida. Oh, non importa. E la sua salute, come va? Meglio, non è vero?

Lyng. Sì signora, vado abbastanza bene, e questo altro anno potrò recarmi nel mezzogiorno.

Ellida. Le ragazze mi hanno parlato di questo suo progetto.

Lyng. Ho a Bergen un benefattore che mi protegge e che promise di aiutarmi per quest’altro anno.

Ellida. Come lo conobbe questo benefattore?

Lyng. Per un caso stranissimo. Io fui marinaio sopra uno di questi battelli che fanno il servizio della costa...

Ellida. Dunque lei ama il mare?

Lyng. Niente affatto, ma dopo la morte di mia madre, mio padre, a cui ero di peso, non volle [21] più tenermi in casa e m’ingaggiò marinaio. In un viaggio il mio legno naufragò nel canale, e per me fu una fortuna.

Arn. Una fortuna?

Lyng. Io rimasi parecchio tempo nell’acqua ghiacciata prima che arrivassero i soccorsi, e di quel bagno la mia salute ne ha sempre risentito. Da allora io sono malato di petto e dovetti abbandonare il mare: fu per me una vera felicità.

Arn. Una felicità?

Lyng. Il mio male non è grave ed ora posso diventare scultore, realizzando così il mio sogno. Quale gioia modellare l’argilla che, sotto le nostre dita, poco a poco, prende la forma e vita.

Ellida. E che cosa desidera modellare? delle Sirene o delle antiche Valchirie.

Lyng. Il mio sogno è di dedicarmi a una grande opera, ad un gruppo.

Ellida. Ed il soggetto di questo gruppo?

Lyng. Un gruppo che io vidi realmente.

Arn. Si provi e vedrà che riuscirà.

Ellida. Ma che cosa è dunque?

Lyng. Ecco la mia idea: una giovane donna, moglie di un marinaio, dorme e dormendo sogna: io mostrerò il suo sogno.

Arn. È tutto qui?

Lyng. No, vi deve essere un’altra figura, un fantasma: il marito ingannato durante la sua assenza è morto in mare.

Ellida. Morto?

Lyng. Sì, durante un lungo viaggio. Ed ora il fantastico: egli ritorna nella notte alla sua capanna ed ora sta ritto ai piedi del letto fissando la moglie. Egli deve essere bagnato come un uomo che esce dalle onde.

Ellida. (raggomitolandosi nella poltrona) Che soggetto singolare. (chiude gli occhi) Io vedo già la scena disegnarsi davanti ai miei occhi.

Arn. Mi scusi, signore, poco fa lei diceva che il [22] gruppo doveva rappresentare una scena a cui lei stesso era stato testimone.

Lyng. Infatti, ho veduto qualche cosa di simile.

Arn. Come! Lei ha veduto un morto che....?

Lyng. Non l’ho veramente veduto ma....

Ellida. (con grande interesse) Racconti su la prego....

Arn. (a Ellida) È una storiella che le farà piacere: c’è del mare....

Ellida. Continui signor Lyngstrand.

Lyng. Il nostro brik aveva lasciato Halifan per tornar qui. Il nostromo ammalatosi era stato mandato all’ospedale e un americano aveva preso il suo posto. Il nuovo nostromo....

Ellida. L’americano?

Lyng. Sì; il nuovo nostromo un giorno si fece prestare dal capitano dei vecchi giornali norvegesi che leggeva con passione, dicendo di voler imparare il norvegese.

Ellida. E il seguito?

Lyng. Una sera si alzò un forte temporale. Eccetto il nostromo ed io, erano tutti sul ponte. L’americano aveva male ad un piede da non poter camminare, ed io soffrivo in modo che mi era impossibile muovermi dalla mia amaca. Egli, come sempre, leggeva i giornali.

Ellida. Continui.

Lyng. Ad un tratto, egli gettò un grido, poi si mise a lacerare il giornale, ma tutto ciò tranquillamente.

Ellida. Senza dir nulla?

Lyng. No, sul principio non disse nulla, poi come parlando a sè stesso, mormorò: «Ella è maritata! si è unita ad un altr’uomo durante la mia assenza!»

Ellida. (socchiudendo gli occhi) Diceva proprio così?

Lyng. Sissignora, e pronunciò queste parole in norvegese. Quell’uomo aveva una grande facilità per imparare le lingue.

[23]

Ellida. Come è andata a finire?

Lyng. Non mi dimenticherò mai quello che ha soggiunto poi dolcemente «Ma essa è mia e sarà mia; mi seguirà, dovessi tornare a cercarla laggiù, come un annegato che torna dal fondo del mare.»

Ellida. (si versa un bicchier d’acqua — la sua voce trema) Auff! come fa caldo quest’oggi!

Lyng. E disse tutto questo con una tale espressione di forza e di volontà che, ne sono sicuro, manterrà la sua parola.

Ellida. E non sa che cosa sia avvenuto di quell’uomo?

Lyng. Dev’esser morto.

Ellida. Come può supporlo?

Lyng. Nello stesso viaggio al ritorno abbiamo naufragato nel canale. Io riuscii a scivolare nella grande scialuppa col capitano e cinque marinai. Il pilota invece s’imbarcò col marinaio sul piccolo canotto.

Ellida. E non si ebbe più alcuna notizia di loro?

Lyng. Alcuna, almeno a tutt’oggi, in cui mi scrive anche il mio benefattore. Da quest’avventura io voglio trarre il soggetto d’un’opera d’arte. Vedo la sposa infedele del marinaio, poi il vendicatore che quantunque annegato sorge, cosa orrenda, dal mare. Me le vedo queste due figure innanzi agli occhi palpitanti di vita.

Ellida. Io pure. (si alza) Andiamo a cercare Wangel. Qui si soffoca (si avanza in giardino).

Lyng. Io me ne vado, volevo solamente farle una piccola visita per porgerle i miei auguri. Ora che l’ho fatta....

Ellida. Faccia come crede. Arrivederci allora e grazie dei fiori. (Lyngstrand saluta ed esce dal giardino).

[24]

SCENA XI. Ellida e Arnholm.

Arn. (alzandosi e avvicinandosi a Ellida) Quel racconto l’ha commossa?

Ellida. Sì, ciò non pertanto...

Arn. Eppure non c’era nulla di straordinario. Doveva immaginarselo.

Ellida. (fissandolo attonita) Dovevo immaginarmela?

Arn. Lo credo.

Ellida. Immaginare che un uomo possa tornare al mondo in quelle circostanze!

Arn. Ma no, diavolo! Forse che questa pazza storia dello scultore, avrebbe....

Ellida. Mio caro Arnholm, non è tanto pazza quanto lei suppone.

Arn. Dunque questa storiella dell’uomo risuscitato l’ha turbata a questo punto? Ed io che credevo...

Ellida. Che cosa?

Arn. Credevo che quella sua emozione non fosse che una simulazione da parte sua, o che soffrisse per un’altra causa; per lo spettacolo a cui assiste di vedere che qui si solennizza in secreto una festa di famiglia, e che suo marito e i suoi figliuoli vivono una vita di ricordi a cui lei è estranea.

Ellida. No, no, non parliamo di questo; io non ho alcun diritto di pretendere che mio marito sia solo per me.

Arn. Eppure è il suo diritto.

Ellida. Forse, ma non ne uso, perchè io pure vivo una vita di ricordi, alla quale gli altri sono estranei.

[25]

Arn. Lei?... (a voce bassa) Dunque.... dunque lei non ama suo marito?

Ellida. Io? ma io l’amo con tutto il mio cuore, ed è ben questo che è orribile, inesplicabile.

Arn. Signora Wangel, abbia confidenza in me, mi confessi ogni cosa.

Ellida. Non posso, almeno per ora: forse più tardi.

SCENA XII. Detti e Violetta, quindi Wangel ed Hilda.

(Violetta appare sulla terrazza e scende in giardino).

Viol. Vogliono intanto passare nel salone? Papà arriverà a momenti.

Ellida. Sì, sì.

Wan. (che ha cambiato d’abito da sinistra con Hilda) Eccomi finalmente libero. Ho sete, beverei volontieri qualche cosa di fresco.

Ellida. Aspetta un momento. (va a prendere i fiori).

Hilda. Che bei fiori! Chi l’ha portati?

Ellida. Mia cara Hilda, me li ha regalati lo scultore Lyngstrand.

Hilda. (stupita) Lyngstrand è stato qui un’altra volta!

Ellida. (con piccolo sorriso). Sì, è venuto a portare i fiori per la festa.... tu sai bene....

Viol. (guardando di sottecchi Hilda) Ah!

Hilda. (tra sè) Che imbecille!

Wan. (imbarazzato, a Ellida) Hem.... bisogna che ti spieghi.... ti dirò mia cara, mia amata Ellida...

[26]

Ellida. (interrompendolo) Venite ragazze. Mettiamo anche questi fiori con gli altri. (sale la terrazza).

Viol. (a Hilda) Vedi Hilda, che non è cattiva come la dici?

Hilda. (a bassa voce con tono irritato) Quanto sei sciocca! Fa tutto questo solo per piacere di più al babbo.

Wan. (che è salito sulla terrazza, stringendo la mano a Ellida) Grazie, grazie: ti sono riconoscente Ellida per questo tuo atto.

Ellida. (cambiando disposizione ai fiori) Bah! Perchè non debbo fare qualche cosa anch’io per la mamma?

Arn. Hem....! (si dirige verso la terrazza, Violetta ed Hilda rimangono in giardino).

FINE DELL’ATTO PRIMO.

[27]

ATTO SECONDO.

Sul Belvedere, una collina sorge dietro alla città. Nel fondo un albero con un anemoscopio. Attorno all’albero delle grandi pietre che possono servire da sedili. All’orizzonte si scorge il fiordo e le isole. Non si vede la distesa del mare. È una chiara notte d’estate. Una luce rosso gialla fluttua nell’aria. Si odono in lontananza canti a quattro voci che vengono dalle colline di dietro.

SCENA I. Ballested con una Comitiva.

(Alcuni giovani della città, uomini e donne vengono da destra chiacchierando fra loro, passano davanti all’albero ed escono da sinistra. Poco dopo viene Ballested che guida dei touristes d’ambo i sessi. Ha in mano scialli e valigie).

Ballested. Do you, see, làdies and gentlemen.... Noi andremo anche là, dietro vi è un’altra hauteur e down again.... (continua a parlare con grande confusione di linguaggi, ed esce con la sua schiera da sinistra).

[28]

SCENA II. Hilda e Violetta.

(Hilda entra di corsa da destra e si ferma per guardare dietro a sè. Violetta entra subito dopo dalla stessa parte).

Viol. Perchè ti sei messa a correre avanti ed hai lasciato Lyngstrand?

Hilda. Perchè non posso camminare adagio. Guarda come si trascina a poco a poco.

Viol. Ma tu lo sai che è sofferente.

Hilda. E credi che sia molto ammalato?

Viol. Sì, purtroppo, povero giovane.

Hilda. Oggi è venuto dal babbo, voglio domandargli che cosa ne pensa lui del suo stato.

Viol. Babbo mi disse che ha offeso i polmoni e che non invecchierà.

Hilda. Davvero! ha detto questo? l’avevo compreso anch’io....

Viol. Hilda, non fingere di non saper nulla.

Hilda. Per chi mi prendi? (a voce bassa) Ecco il signor Lyngstrand che è riuscito ad arrampicarsi fino qui: Hans! non ti pare che guardandolo in viso si indovini che il suo nome sia Hans?

Viol. (a voce bassa) Ti prego, procura di essere buona.

[29]

SCENA III. Lyngstrand e Dette.

Lyng. (viene da destra, con un ombrello in mano) Mi scusino signorine se io non posso correre.

Hilda. Ha comperato un ombrello?

Lyng. È di sua madre. Mi ha detto di servirmene come bastone, avendo dimenticato il mio.

Viol. Babbo e gli altri sono ancora laggiù?

Lyng. Sì, signorina: suo padre è entrato al caffè un momento, e gli altri sono seduti fuori ad ascoltare la musica. Ma sua madre mi ha detto che verrebbero qui.

Hilda. (fissandolo) Si sente stanco?

Lyng. Un poco: bisogna che mi metta a sedere (siede su una pietra).

Hilda. (ritta davanti a lui) Lo sa che si ballerà sulla piazza?

Lyng. Sì ho sentito che se ne parlava.

Hilda. A lei non piace il ballo?

Viol. (che raccoglie fiori) Hilda, ma lascia riposare un poco il signor Lyngstrand.

Lyng. (a Hilda) Sì, signorina, mi piacerebbe, se potessi....

Hilda. Non sa ballare?

Lyng. Non ho detto questo: sono i miei polmoni che me lo impediscono.

Hilda. Questo male dunque, le è causa di dolori.

Lyng. No, no (sorridendo) perchè infine ad esso debbo se tutti sono così buoni, così gentili, così compiacenti per me.

Hilda. E poi non è un male pericoloso.

Lyng. Pericoloso no. Da quando mi ha visitato suo padre ne ho la certezza.

[30]

Hilda. Rimarrà qui, allora, fino a quando sarà guarito?

Lyng. Certamente.

Viol. (offrendogli dei fiori) Tenga, signor Lyngstrand, li metta all’occhiello.

Lyng. Grazie, grazie, signorina: lei è troppo buona con me.

Hilda. (guardando a destra) Ecco che si mettono in cammino.

Viol. (guarda anche lei) Purchè sappiano venirvi: ecco che già sbagliano strada.

Lyng. (alzandosi) Vado io loro incontro: griderò loro che si sbagliano.

Hilda. Bisognerà gridare forte.

Viol. No, è ancora troppo stanco.

Lyng. Oh, la discesa non mi fa male (via da destra).

Hilda. Ah sì, la discesa (guardandolo allontanarsi) Ora corre e non pensa che poi dovrà risalire.

Viol. Povero giovane!

Hilda. Se Lyngstrand ti chiedesse in isposa, gli diresti di sì?

Viol. Dimmi, diventi pazza?

Hilda. Se non fosse condannato veramente, lo accetteresti come sposo?

Viol. Mi sembra che piuttosto toccherebbe a te sposarlo.

Hilda. Mai! Non ha un soldo! non ha neppure da mantenersi lui.

Viol. Perchè allora ti occupi sempre del signor Lyngstrand?

Hilda. Per la sua malattia.

Viol. Non mi sono mai accorta che tu lo compiangessi per questo....

Hilda. Non lo compiango, solo mi attrae....

Viol. Che cosa?

Hilda. Farlo parlare, fargli dire che non è pericolosamente ammalato; sentirlo discorrere dei suoi sogni per l’avvenire, della sua futura gloria d’artista. Egli crede a tutto questo ed è felice. [31] E nulla si realizzerà di quanto spera, nulla, perchè egli morirà prima, e questo pensiero, vedi, non manca d’interesse.

Viol. Di interesse?...

Hilda. Che cosa vuoi? è la mia opinione.

Viol. Oh, Hilda! tu sei una cattiva ragazza!

Hilda. Sì, voglio essere una cattiva ragazza a dispetto di tutti. (guardando a destra) Eccoli finalmente. Si direbbe che Arnholm non ama le salite. (voltandosi) A proposito, sai che cosa ho notato in Arnholm durante il desinare?

Viol. Che cosa?

Hilda. Comincia a perdere i capelli.

Viol. Ma no, ti sbagli.

Hilda. Non mi sbaglio niente affatto; e poi sul viso, ha già delle rughe. Mio Dio, Violetta, come hai potuto essere tanto innamorata di lui quand’era tuo precettore?

Viol. (sorridendo) Davvero non lo so. Mi ricordo che piangevo dirottamente quando mi diceva che non gli piaceva il mio nome.

Hilda. Eri pur curiosa! (guardando a destra) Guarda la donna del mare che parla con lui e con babbo. Non mi meraviglierei se quei due là se l’intendessero.

Viol. È vergognoso quanto dici! Perchè ti permetti di parlare così sul suo conto, ora che i nostri rapporti sono ottimi?

Hilda. Ottimi! Sei ancora ingenua, piccina mia. No, i nostri rapporti con lei non saranno mai buoni, perchè noi non possiamo soffrire lei, e lei non può soffrire noi. Io non so perchè babbo l’ha portata in casa; non è improbabile che quella un giorno o l’altro diventi pazza.

Viol. Pazza! Perchè?

Hilda. Anche sua madre era pazza, o almeno, è morta pazza.

Viol. Dio mio, che cosa mi dici! Ma se anche ciò che affermi è vero, non parlarne. Procura di essere gentile, fallo per babbo: hai capito Hilda?

[32]

SCENA IV. Dette, Lyngstrand, Wangel, Ellide ed Arnholm.

Ellida. (accennando col dito al fondo della scena) È là non è vero, è là?

Arn. Sì, in quella direzione.

Ellida. Oh! il mare! il mare!

Viol. (a Arnholm) Le piace questo Belvedere?

Arn. Bellissimo: una vista magnifica.

Wan. Non vi era mai venuto?

Arn. Mai. Ai miei tempi era impossibile arrampicarsi fin qui; non era tracciato neppure un sentiero.

Wan. Non lo fecero che l’anno scorso.

Viol. Il panorama è più imponente veduto da Lodskellen; quel poggio lassù.... (accenna).

Wan. Vuoi andarci, Ellida?

Ellida. (sedendo su di una pietra) No, grazie; ma andateci voi; io vi aspetterò qui.

Wan. Resterò con te. Le ragazze faranno da guida ad Arnholm.

Viol. Vuol venire con noi, signor Arnholm?

Arn. Volentieri. E dobbiamo salire lassù?

Viol. Sì, ma la strada è comodissima.

Hilda. Larga abbastanza per lasciare posto a due persone che la facciano tenendosi sotto braccio.

Arn. (scherzoso) Ne è poi sicura piccola Hilda? (a Viol.) Vuole che noi andiamo a vedere se sua sorella ha detto il vero?

Viol. (sorridendo) Come desidera (escono a sinistra tenendosi sotto braccio).

Hilda. (a Lyngstrand) Andiamo noi pure?

Lyng. Tenendoci sotto braccio?

Hilda. Perchè no?

[33]

Lyng. (le offre il braccio sorridendo) È curiosa davvero!

Hilda. Curiosa?

Lyng. Abbiamo l’aria di due fidanzati.

Hilda. Dunque lei non ha mai dato braccio a nessuna signora? (escono da sinistra)

SCENA V. Ellida e Wangel.

Wan. (che è rimasto presso all’albero) Ellida siamo soli....

Ellida. Siediti vicino a me.

Wan. Qui tutto è calma, tutto tranquillità. Noi possiamo parlare.

Ellida. Di che cosa?

Wan. Di te, Ellida, di noi, della nostra vita. Non possiamo continuare a vivere così.

Ellida. Che cosa desideri di più?

Wan. Un’intimità completa, reciproca, come quella di una volta....

Ellida. Ah! se potessi! ma è impossibile!

Wan. Credo avere indovinato i tuoi pensieri. Da alcune parole che ti son sfuggite, da certe tue osservazioni ho supposto che....

Ellida. (bruscamente) Tu non hai indovinato nulla; dimmi che non hai indovinato nulla.

Wan. Ellida, il tuo carattere è leale; perchè tu abbia la pace e la felicità bisogna che la tua vita sia tutta franchezza e sincerità.

Ellida. (guardandolo attentamente) Ebbene?

Wan. Ebbene, tu non puoi essere la seconda moglie di un uomo.

Ellida. Che ti fa supporre questo?

[34]

Wan. Ne ho avuto più volte il presentimento: da oggi ne ho acquistato più volte la certezza. Questa festa preparata dalle ragazze, in ricordo della loro madre!... Tu hai supposto che io pure lo sapessi e non hai avuto torto; i ricordi di un uomo non si cancellano; no, non posso dimenticare....

Ellida. Lo so e lo comprendo.

Wan. Nonpertanto t’inganni. A te sembra, che l’altra, la madre dei miei figli, viva ancora, che essa sia sempre tra noi, invisibile. Tu credi che io divida il mio cuore tra lei e te. Ecco il pensiero che ti toglie la pace, che t’appare come una immoralità nella nostra vita. Ecco perchè tu non puoi più, non vuoi più vivere nella mia intimità, tu non vuoi più essere mia moglie.

Ellida. (alzandosi) Tu hai compreso tutto questo, Wangel?

Wan. Oggi ho letto chiaro fino in fondo all’anima tua.

Ellida. Ah! questo non lo credo!

Wan. (alzandosi) Un’altra pena poi ti affligge.

Ellida. (spaventata) Tu sai che io ho un altro segreto?

Wan. Sì. Tu non puoi vivere qui. Le nostre montagne ti opprimono, qui non c’è abbastanza luce per te, l’orizzonte non è abbastanza spazioso, il vento non soffia abbastanza forte.

Ellida. È vero; sia giorno o notte, sia inverno o estate io mi sento sempre attratta verso il mare.

Wan. Lo so, mia cara. (mettendole una mano sul capo) Ed ecco perchè la cara bambina ammalata, tornerà a casa sua.

Ellida. Che cosa dici?

Wan. Noi partiremo.

Ellida. Partiremo!

Wan. Sì, andremo sulle rive del mare, in un luogo dove troverai il nido che ti abbisogna.

[35]

Ellida. Non pensiamoci, è un sogno: tu non puoi vivere lontano da questi luoghi.

Wan. E credi che potrei vivere senza di te?

Ellida. Ma io ricuso e resto. Io ti appartengo.

Wan. E credi davvero di appartenermi, Ellida?

Ellida. Non ne parliamo più: tu tieni qui tutto ciò che ti fa vivere e respirare.

Wan. Per me, procurerò adattarmi. Noi partiremo. Sono deciso, Ellida, assolutamente deciso.

Ellida. Che ci guadagneremo?

Wan. Tu ritroverai la tua salute e la tua tranquillità.

Ellida. Chi sa? Ma tu? Bisogna pensare a te; che cosa guadagnerai?

Wan. Ti riconquisterò, mia adorata!

Ellida. È impossibile, Wangel, non lo potrai. Ed è questo che è orribile, che mi rende disperata.

Wan. Bisogna tentare. Fino a quando rimarrai qui, questi pensieri non ti abbandoneranno mai; bisogna fuggire questi luoghi il più presto possibile: bisogna ed io lo voglio, capisci!

Ellida. No, no: è meglio che ti dica ogni cosa: tu non devi essere infelice per me, tanto più che il tuo sacrificio non servirebbe a nulla. Sappi una volta ciò che sento, ciò che penso. Siediti vicino a me. (siedono sopra i sassi).

Wan. Suvvia, Ellida, coraggio.

Ellida. Il giorno in cui sei venuto laggiù a chiedermi se volevo, se potevo essere tua, francamente, lealmente mi hai parlalo del tuo primo matrimonio, e della felicità che esso ti aveva arrecato.

Wan. Dicevo la verità.

Ellida. Sì, sì, non ne dubito ma non parliamo di ciò ora. Voglio solo ricordarti che io pure fui franca con te, poichè ti confessai che avevo amato un altr’uomo e che questo era stato quasi il mio fidanzato.

Wan. Quasi?

[36]

Ellida. Sì, ma durò poco: partì, e ogni legame che ci univa fu rotto. Era quella tutta la verità.

Wan. Perchè, Ellida, tornare sul passato? Io non avevo alcun diritto di interrogarti e chiederti il nome di quell’uomo.

Ellida. Tu fosti sempre delicato.

Wan. (sorridente). Eppoi non era difficile indovinare....

Ellida. Indovinare il suo nome?

Wan. Sicuro. A Skjoldvik e nei dintorni, non vi erano troppi uomini per poter spaziare sulla scelta, o piuttosto, non ve n’era che un solo che potesse....

Ellida. Tu supponi adesso che quest’uomo fosse Arnholm?

Wan. Sì! Non è lui?

Ellida. No. Ti ricordi quando, verso la fine d’autunno approdò a Skjoldvik quella grande nave americana, per riparare ad un’avaria?

Wan. Me ne ricordo; fu a bordo di quella nave che una mattina venne trovato il capitano assassinato. Fui chiamato io a fare l’autopsia del cadavere. Si disse che l’assassino fosse stato il secondo pilota.

Ellida. Nessuno può affermarlo, perchè nessuno può provarlo.

Wan. Eppure, se non fosse stato lui, perchè quel pilota si sarebbe annegato?

Ellida. Non si è annegato: è partito a bordo di una baleniera.

Wan. (stupito) Come lo sai tu?

Ellida. (padroneggiandosi) Lo so. Wangel, perchè quel pilota.... era il mio fidanzato.

Wan. (con grande stupore) Che cosa dici Ellida? È mai possibile?

Ellida. Sì, era il mio fidanzato.

Wan. Ma eri pazza dunque.... fidanzarti con uno sconosciuto? Come si chiamava?

Ellida. Allora si faceva chiamare Friman, più [37] tardi le sue lettere portarono la firma di Alfredo Johnston.

Wan. Da dove veniva?

Ellida. Dalla Finlandia, mi disse. Credo che egli fosse nato là, e che abbia in seguito emigrato con suo padre.

Wan. Eppoi....

Ellida. Eppoi non so più nulla: noi non parlavamo mai del passato.

Wan. Di che cosa parlavate?

Ellida. Sopratutto del mare: parlavamo della tempesta e dei giorni di calma, delle notti scure e dei giorni pieni di sole. Parlavamo delle balene, delle foche, che si trascinano sugli scogli ai raggi del sole, e delle aquile e delle Sirene. Allora mi sembrava che quegli esseri dovessero appartenere alla stessa sua razza; e mi pareva che io stessa dovessi appartenere all’Oceano.

Wan. E fu allora che ti sei fidanzata con quell’uomo?

Ellida. Sì. Egli mi disse «è necessario».

Wan. Necessario? Ma tu non avevi la tua volontà?

Ellida. Quando gli ero vicino, no. E quando mi lasciava io non potevo spiegarmi questo fascino.

Wan. Lo vedevi spesso?

Ellida. Spesso no. Venne un giorno a visitare il faro, ed è così che l’ho conosciuto; poi ci incontrammo di quando in quando. Ma successe l’assassinio del capitano e fu costretto a fuggire.

Wan. Racconta.... racconta....

Ellida. Un mattino, era appena giorno, ho ricevuto un suo biglietto nel quale mi pregava di andare ad aspettarlo a Brathammeren, sai, il capo che c’è tra il faro e Skjoldvik.

Wan. Lo conosco.

Ellida. Mi scriveva di andare perchè aveva da parlarmi.

[38]

Wan. Ci sei andata?

Ellida. Non potevo fare altrimenti. Allora mi raccontò che aveva ucciso il suo capitano, durante la notte.

Wan. Fu lui che ti ha confessato?...

Ellida. Sì, ma aggiunse che quel delitto era giusto e naturale. Non volle dirmi di più, adducendo la scusa che non poteva parlare.

Wan. E gli hai creduto?

Ellida. Sì. Alla fine egli dovette partire, ma al momento di lasciarmi... non puoi immaginarti quello che fece.

Wan. Che cosa?

Ellida. Si tolse dal dito un anello, che portava sempre con sè, volle che gli dessi un altro mio anello, poi, unendoli tra loro, e dicendo che da quel momento noi ci sposavamo col mare, lanciò lontano, lontano nei flutti, i due piccoli dischi d’oro.

Wan. E tu, Ellida, tu hai accettato?

Ellida. In quel momento io ero dominata da una forza superiore. Come Dio volle partì... Tornai allora di corsa a casa e mi persuasi che ciò che avevo fatto era una pazzia!

Wan. Ma tu mi hai parlato di lettere: ti ha scritto?

Ellida. Prima, poche righe da Arcangelo; mi diceva solamente che partiva per l’America, e mi dava il suo indirizzo per rispondergli.

Wan. Gli hai risposto?

Ellida. Subito. Naturalmente gli scrissi che tutto doveva essere finito tra noi; che non doveva più pensare a me, e ch’io volevo dimenticarlo.

Wan. E ti continuò a scrivere?

Ellida. Sì.

Wan. Rispondendo alla tua lettera?

Ellida. Alla mia lettera non rispose neppure una parola: come se non gli avessi scritto nulla. Mi diceva semplicemente che bisognava aspettare, che m’avrebbe avvisata all’epoca in cui avrebbe [39] potuto chiamarmi a sè e che allora io avrei dovuto raggiungerlo immediatamente.

Wan. Dunque, non rinunciò a te?

Ellida. Tornai a scrivergli, tornando a ripetere, con più forza, quanto gli avevo detto, ma lui non si diede per inteso e mi rispose senza una sola allusione alla nostra rottura. Compresi che era inutile insistere e non gli scrissi più.

Wan. E non hai più avuto sue nuove?

Ellida. Sì, mi scrisse ancora tre volte: una prima lettera da S. Francisco di California, un’altra dalla China ed una terza dall’Australia. Mi diceva che doveva partire per le miniere d’oro. Da allora non so più nulla.

Wan. Quest’uomo esercita su te una strana influenza, Ellida. Bisogna che tu non pensi più a lui. Me lo prometti, mia cara Ellida? Noi cambieremo vita. Andremo in cerca di un’aria un poco più fredda. Ti piace l’aria fortificante del mare?

Ellida. Non me ne parlare, te ne supplico. Non v’è mezzo per guarirmi; neppure il mare potrebbe liberarmi da questo mio male.

Wan. Di qual male tu parli?

Ellida. Parlo di questo terrore, di questa potenza spaventevole.

Wan. Ma te ne sei liberata da un pezzo, da quando l’hai licenziato. Ormai tutto è finito.

Ellida. (alzandosi bruscamente) No! ecco, la sventura appunto è che non è vero che tutto sia finito!

Wan. Non è finito?

Ellida. E temo che questo legame non abbia a finir mai.

Wan. (a voce soffocata) Tu vuoi dire allora che hai sempre nel cuore l’immagine di quell’uomo.

Ellida. Un giorno ho creduto di averlo dimenticato, poi a poco a poco, ricomparve.

Wan. Da quando?

Ellida. Da circa tre anni o poco più. Ero allora in istato interessante.

[40]

Wan. Ah! tu eri?... Ora mi spiego molte cose.

Ellida. Ti inganni. Quel sentimento che si è impadronito di me, tu non puoi averlo notato, ed io stessa non lo saprei definire.

Wan. (con uno sguardo di terrore) Da tre anni dunque.... tu ami un altr’uomo.... uno straniero.

Ellida. No, io non amo che te.

Wan. (dolcemente) E allora perchè non hai voluto essere con me.... veramente mia moglie?

Ellida. Sempre a cagione di quest’orribile sentimento che quell’uomo mi ha inspirato.

Wan. Spiegati meglio.

Ellida. È un fenomeno! un male! un turbamento strano, violento che solo il mare.... perchè tu devi sapere, Wangel...

SCENA VI. Detti, Arnholm, Violetta, Hilda e Lyngstrand.

(Giovani della città che entrano da sinistra ed escono da destra salutando).

Viol. Voi altri due restate ancora qui?

Ellida. Sì, si sta tanto bene su questo poggio. È così fresco!

Arn. Noi andiamo a ballare.

Wan. Vi raggiungeremo subito.

Hilda. Allora arrivederci.

Ellida. Scusi, signor Lyngstrand; si trattenga un momento. (Lyngstrand si ferma, gli altri escono da destra).

Ellida. (a Lyngstrand) Va a ballare anche lei?

Lyng. No, signora, non mi azzardo.

Ellida. Fa bene ad essere prudente. Lei non è ristabilito completamente a quanto pare.

[41]

Lyng. Non del tutto.

Ellida. (con esitazione) A che epoca ha fatto quel tal viaggio?...

Lyng. Quello che causò il mio male?

Ellida. Sì, quello di cui parlavamo stamane.

Lyng. Sono quasi tre anni.

Ellida. Tre anni?

Lyng. Sissignora: lasciammo l’America in febbraio, e abbiamo naufragato in marzo, all’epoca delle tempeste equinoziali.

Ellida. (guardando Wangel) E fu allora che....

Wan. Ma, cara Ellida....

Ellida. Io non voglio trattenerlo di più, signor Lyngstrand. Raggiunga gli altri, ma dia retta a me, procuri di non ballare.

Lyng. Sissignora, l’obbedirò. (esce da destra).

Wan. Perchè gli hai fatto quelle domande?

Ellida. Johnston era a bordo con lui; ne sono sicura.

Wan. Che cosa te lo fa supporre?

Ellida. (senza rispondergli) A bordo Johnston seppe che mi ero maritata con un altro durante la sua assenza, e, contemporaneamente io fui assalita da questa malattia.

Wan. Quegli di cui mi parlavi poc’anzi?

Ellida. Sì. Mi è sempre vicino! O davanti, o ai lati, io lo vedo. Egli non mi guarda mai ma mi segue sempre!

Wan. Lo vedi?

Ellida. Come lo vidi l’ultima volta, dieci anni or sono a Brathammeren. Vedo sopratutto distintamente la spilla della sua cravatta con una grossa perla celeste. Quella perla ricorda l’occhio di un pesce morto e pare che mi fissi sempre!

Wan. Mia cara Ellida, tu sei ammalata più di quello che io non credevo; più di quello che tu stessa non t’immagini.

Ellida. Lo so. Aiutami, Wangel, se lo puoi, perchè sento che questo male mi uccide.

[42]

Wan. Ed hai potuto passare tre anni in questo stato d’animo; hai potuto sopportare tante sofferenze senza confidarti con me?

Ellida. Non l’ho potuto prima d’oggi in cui questa confidenza è divenuta necessaria per te stesso. Se avessi dovuto dirti tutto, avrei dovuto confessarti cosa inesplicabile, indicibile....

Wan. Indicibile??...

Ellida. (allontanandolo con la mano) No, no, no; non mi chiedere nulla! Wangel, come spieghi tu gli strani occhi che aveva il nostro bambino?

Wan. Ma, Ellida, t’assicuro che la tua è una illusione.... Gli occhi del nostro bambino non avevano nulla di speciale.

Ellida. No, non è vero! Come non l’hai osservato? Gli occhi di quel fanciullo cambiavano di colore, come il mare, secondo il buono o cattivo tempo. Oh! tu non potevi porvi attenzione, perchè tu non dubitavi.

Wan. Ebbene, sia pure come dici: a che vuoi concludere?

Ellida. (a voce bassa e avvicinandosi a lui) Quegli occhi io gli ho veduti un’altra volta.

Wan. Quando? Dove?

Ellida. A Brathammeren... dieci anni or sono....

Wan. (rinculando d’un passo) Che cosa mai dici?

Ellida. (con voce bassa e tremante). Il fanciullo aveva gli occhi dello straniero.

Wan. (con un grido involontario) Ellida!

Ellida. (disperata, alzando le mani in atto di supplica) Tu ora devi comprendere perchè io non voglio, non posso vivere con te... come moglie!... (si volge rapidamente e fugge da destra).

Wan. (rincorrendola, grida) Ellida! Sventurata Ellida, mia povera Ellida!

FINE DELL’ATTO SECONDO.

[43]

ATTO TERZO.

Una parte del giardino del dottor Wangel. Viale ombreggiato da vecchi alberi. A destra uno stagno. Una siepe separa il giardino dal sentiero. Il fiordo al fondo dell’orizzonte; si vedono le cime dei monti. La sera cade.

SCENA I. Violetta, Hilda, Lyngstrand quindi Arnholm.

(Violetta è seduta su una panchina di pietra; è ancora occupata a cucire. Vicino a lei, sulla panca, ci sono dei libri ed una borsa da lavoro. Hilda e Lyngstrand stanno pescando allo stagno).

Hilda. (facendo un gesto a Lyngstrand) Stia fermo. Eccone là uno grosso!

Lyng. (guardando) Dov’è?

Hilda. (segnando col dito) Non può vederlo... Laggiù. E guardi ancora là. Eccone un altro. (guardando dalla parte degli alberi) Auf! adesso vien lui e me li farà scappare.

Viol. (alzando la testa) Chi viene?

Hilda. Il tuo professore.

Viol. Il mio professore?

Hilda. Eh, mio Dio, non è certo il mio.

[44]

Arn. (viene da destra del viale degli alberi) Vi sono anche dei pesci nello stagno?

Hilda. Qualche pesciolino.

Arn. E vivono in quell’acqua?

Hilda. A quel che pare: ora pensiamo noi a regolare i loro conti.

Arn. Perchè non pescano nel fiordo?

Lyng. Lo stagno ha maggior mistero.

Hilda. È più interessante. Ha preso il suo bagno?

Arn. Or ora.

Hilda. Prudentemente ella sarà rimasto nella vasca.

Arn. Non sono un forte nuotatore.

Hilda. Sa fare il morto?

Arn. No, signorina.

Hilda. Io sì. (a Lyngstrand) Andiamo a pescare più in là. (escono da destra costeggiando lo stagno).

SCENA II. Arnholm e Violetta.

Arn. (avvicinandosi a Violetta) Lei così sola, Violetta?

Viol. Di solito.

Arn. La sua mamma non è in giardino?

Viol. È uscita col babbo: passeggeranno sotto il viale.

Arn. Come stava oggi?

Viol. Non lo so, mi sono dimenticata di domandarglielo.

Arn. Che libri sono codesti che legge?

Viol. L’uno è un trattato di botanica, l’altro di geologia.

Arn. E si diverte in quelle letture?

[45]

Viol. Sì, quando ne ho il tempo; ma ne ho poco, perchè debbo accudire alle faccende di casa.

Arn. Ma sua madre.... la sua matrina non l’aiuta?

Viol. No, sono io che mi occupo di tutto. Nei due anni in cui babbo fu solo, fui obbligata a prendere la direzione della casa, eppoi ho continuato....

Arn. Ma però ha sempre per la lettura la passione di una volta?

Viol. Leggo volentieri qualche libro utile, vien volentieri il desiderio di conoscere la vita, poichè qui noi si vive quasi segregati da tutti.

Arn. Non dica questo, Violetta.

Viol. Conduciamo la medesima esistenza che i pesci dello stagno. Essi hanno vicino i fiordi dove vanno e vengono migliaia di pesci del mare, pesci liberi, ma i poveri pesciolini domestici non ne sanno nulla, vivono nella loro acqua sempre ferma e non godranno mai la loro parte di vita libera.

Arn. Avrebbero torto a desiderarlo.

Viol. Forse non si avvedrebbero neppure del cambiamento.

Arn. D’altra parte lei non può dire che qui si viva in una completa solitudine: almeno durante la estate. È qualche giorno che la sua casa è trasformata in un centro di ritrovo di vita mondana. È un via vai di gente di passaggio.

Viol. (sorridendo) È perchè lei è uno di quelli che sono di passaggio, che ora vuol burlarsi di noi?

Arn. Burlarmi? Come può supporlo?

Viol. Sì, tutte quelle parole — centro di ritrovo, vita mondana — le avrà udite dagli abitanti della città che si compiacciono a ripeterle.

Arn. È vero.

Viol. In realtà è un errore. Che vantaggio ne proviamo noi, che abitiamo sempre qui, di vedere dei forestieri di passaggio che vengono [46] per ammirare il sole a mezzanotte? Noi siamo costretti a vivere qui tutta la nostra vita, nel nostro stagno, come quei pesci.

Arn. (sedendosi vicino a Violetta) Violetta, le è di peso codesta vita ritirata? Desidera qualche cosa....

Viol. Forse.

Arn. Che cosa?

Viol. Prima di tutto partire, eppoi istruirmi; poter studiar molto.

Arn. Quando ero suo professore, Wangel mi diceva spesso di lasciarla studiare ciò che voleva.

Viol. Povero babbo, egli parla molto ma quando si tratta di passare ai fatti, di prendere una risoluzione.... manca d’energia.

Arn. Pur troppo ha ragione: manca d’energia!... Ma non gli ha mai parlato del suo desiderio?

Viol. No, mai.

Arn. Ebbene, perchè non gliene parla? Non aspetti che sia troppo tardi.

Viol. Forse perchè anch’io manco d’energia. È un difetto che avrò ereditato da mio padre.

Arn. Hem.... lo crede?...

Viol. Sì, disgraziatamente. Eppoi, babbo non ha tempo di pensare a me ed al mio avvenire, e non ne ha nemmeno più la voglia. La sua vita è completamente assorbita da quella di Ellida.

Arn. Da quella di....

Viol. Voglio dire che lui e la mia matrigna.... (s’interrompe) Lei mi capisce: babbo e mamma hanno i loro interessi.

Arn. In questo caso sarebbe meglio andar via di qui.

Viol. Forse. Ma mi sembra, che, malgrado tutto, io non abbia il diritto di lasciare il babbo.

Arn. Un giorno o l’altro dovrà bene lasciarlo: più presto ciò avverrà, meglio sarà.

Viol. Capisco anch’io che questo passo dovrò farlo, perchè anch’io debbo pensare al mio avvenire. [47] Se mi morisse il babbo non avrei nessuno a cui ricorrere. Povero babbo, il solo pensiero di separarmi da lui mi spaventa.

Arn. La spaventa?

Viol. Sì, per lui.

Arn. Ma presso di lui resterebbe sempre la signora Ellida.

Viol. Lei non ha il tatto, la delicatezza della mia povera mamma! Vi sono molte cose che essa non vede neppure, o non vuol vedere e delle quali non si occupa. Non so poi spiegarne la ragione.

Arn. Hem.... la comprendo, signorina....

Viol. Povero babbo, anche lui ha le sue debolezze! Lei l’avrà notato. Eppoi ha troppe poche occupazioni, e sua moglie non sa sostenerlo, aiutarlo nelle lunghe ore di ozio. E di questo forse, una parte della colpa è di babbo.

Arn. Ah! che le fa pensare ciò?

Viol. Papà vuole sempre visi sorridenti intorno a lui. Egli dice che in casa deve sempre splendere il sole, la gioia. Ecco perchè ho paura ogni qualvolta lo vedo provare qualche rimedio per guarirla.... Non ci riuscirà.

Arn. Lei lo crede?

Viol. Sì, e questo pensiero mi perseguita sempre.... (con collera) Non è ingiusta codesta forzata permanenza in casa? Io sono inutile a mio padre e, d’altra parte, ho verso me stessa dei doveri che non posso compiere.

Arn. Cara Violetta, su questo noi dobbiamo parlare seriamente.

Viol. Non gioverà gran che: bisogna dire che io sono destinata a passare qui la mia vita, presso questo stagno.

Arn. Ah, no!... dipende da lei....

Viol. (con vivacità) Lo crede?

Arn. Sì, da lei, da lei sola.

Viol. Ah! se potessi soltanto.... Vuol forse tentare di decidere il babbo?...

[48]

Arn. Certo, ma lei prima deve dirmi con franchezza se.... (guardando a sinistra) Silenzio: non lasci scorgere nulla per ora. Ci riparleremo più tardi.

SCENA III. Detti ed Ellida.

(Ellida viene da sinistra senza cappello, una grande sciarpa le copre la testa e le spalle).

Ellida. (con agitazione nervosa) Si sta bene qui, si sta benissimo!

Arn. (alzandosi). Ha fatto una passeggiata?

Ellida. Sì, una gran corsa con Wangel, e ora andremo a fare una gita in battello.

Viol. Non vuoi riposarti?

Ellida. No, grazie.

Viol. (facendole posto sulla panca) C’è posto anche per te.

Ellida. (passeggiando) No, no; non voglio sedermi.

Arn. Si capisce che la passeggiata deve averle fatto bene: è tutta rianimata in viso.

Ellida. Sì, mi sento bene, mi sento felice, rassicurata. (guardando a sinistra) Che cosa c’è laggiù? È una nave quella che arriva?

Viol. (si alza e guarda) Mi sembra una nave inglese.

Arn. Si dirige ai segnali degli scogli: è là che si fermano ordinariamente?

Viol. Sì, ma per poco: una mezz’ora al più, dopo rimontano nel fiordo.

Ellida. E domani saranno in alto mare! In alto mare! Oh, perchè non è possibile viverci sempre! Se si potesse!

[49]

Arn. Ha fatto dei lunghi viaggi di mare lei, signora Wangel?

Ellida. No; solo delle piccole escursioni per i fiordi.

Viol. (con un sospiro) Dobbiamo accontentarci della terra ferma.

Arn. È il nostro elemento.

Ellida. Non lo credo.

Arn. Non apparteniamo noi, forse, alla terra ferma?

Ellida. Io credo che se dalla nascita ci avezzassero a vivere sul mare, nel mare, saremmo forse, molto, ma molto più felici.

Arn. Lo crede?

Ellida. Sì, lo credo, e vorrei farne la prova. Ne ho spesso parlato con Wangel.

Arn. E quale è l’opinione del dottore?

Ellida. Che potrei avere ragione.

Arn. (scherzando) Sia pure, ma il male è senza rimedio. Noi, dunque, abbiamo sbagliato rotta e siamo diventati animali terrestri, anzichè animali marini. Disgraziatamente ora non possiamo più cambiare.

Ellida. È una triste verità! ed ecco perchè tutti soffriamo una pena segreta. Mi creda, la melanconia dell’umanità deriva da ciò.

Arn. Ma, cara signora Wangel, io non mi sono mai accorto che proprio tutto il mondo sia tanto triste quanto lei dice. Ho notato, al contrario, come la maggior parte degli uomini, prenda la vita molto allegramente e come viva in una felicità continua ed incosciente.

Ellida. Errore! codesta gioia è simile a quella che proviamo nelle lunghe e belle notti d’estate; quelle notti su cui pesa sempre la minaccia di un tempo burrascoso; ed è quella minaccia che oscura la gioia dell’umanità, come le nubi gettano l’ombra sui fiordi sui quali passano.... Il fiordo che pochi momenti fa era tanto bianco, tanto azzurro, e che ora, ad un tratto....

[50]

Viol. Scaccia quei brutti pensieri. Pochi momenti or sono eri contenta....

Ellida. È vero, sono una sciocca. (guardandosi con inquietudine d’attorno) Perchè Wangel non viene? eppure me l’aveva promesso. Caro signor Arnholm, vuol avere la bontà di andarlo a cercare?

Arn. Subito, signora.

Ellida. Gli dica che venga subito, subito, perchè in questo momento non lo vedo più.

Arn. Chi?

Ellida. Ah! lei non comprende! Quando non mi è vicino m’avviene delle volte che non mi ricordo più della sua fisonomia. Ma vada a cercarlo, dunque. (passeggia lungo lo stagno).

Viol. (ad Arnholm) Vengo anch’io; lei non saprebbe trovarlo.

Arn. Non s’incomodi signorina, so benissimo....

Viol. (piano ad Arnholm) Mi lasci fare, sono inquieta; temo che babbo sia andato a bordo del battello....

Arn. (piano) E questo la spaventa?

Viol. (c. s.) Sì. Di solito egli vi si reca per incontrare qualche amico, e siccome vi è trattoria a bordo....

Arn. Ho compreso; venga con me allora. (escono a sinistra).

SCENA IV. Ellida e Lo Straniero.

(Ellida immobile fissando lo stagno, mormora parole incomprensibili, come se parlasse tra sè — pronuncia parole tronche).

(Sul sentiero, dietro la siepe del giardino, appare uno straniero in abito da viaggio. La sua barba [51] e i suoi capelli sono rossicci ed arruffati. Ha in capo un berretto scozzese e porta a tracolla una borsetta. Cammina lentamente dietro la siepe guardando nel giardino. Scorgendo Ellida si ferma e la guarda fissamente dicendo a bassa voce) Buona sera, Ellida.

Ellida. (voltandosi, con un grido) Ah! mio caro, sei qui finalmente!

Str. Sì, finalmente sono arrivato.

Ellida. (lo guarda stupita ed inquieta) Chi siete? che volete?

Str. La mia venuta non ti dovrebbe sorprendere...

Ellida. (stupita) Mio Dio!... Chi siete, vi ripeto?... perchè mi parlate?... Di chi cercate?

Str. Di te, naturalmente...,

Ellida. (spaventata) Ah!... (lo fissa, getta un grido, retrocede) Gli occhi! Gli occhi!

Str. Cominci a conoscermi finalmente! io, invece vedi, ti conobbi subito, Ellida!

Ellida. Oh! quegli occhi! Non fissatemi a quel modo, o chiamerò aiuto!

Str. Sst! sst! Non aver paura, non ti farò male.

Ellida. (coprendosi il volto colle mani) Ve ne scongiuro, non mi fissate a quel modo.

Str. (sedendo sulla siepe) Sono arrivato con la nave inglese.

Ellida. (guardandolo con ansietà) Che cosa volete da me?

Str. T’avevo promesso di tornare non appena avessi potuto.

Ellida. Partite, ripartite e non tornate più qui. Ve lo scrissi che tutto fra noi era finito; tutto.... tutto!

Str. (senza risponderle) Avrei voluto poter venir prima, ma mi fu impossibile. Finalmente sono venuto ed eccomi da te, Ellida.

Ellida. Che cosa volete? Che cosa pensate? Perchè siete venuto qui?

Str. Non l’hai ancora capita che sono venuto a prenderti?

[52]

Ellida. (retrocedendo spaventata) Prendermi?!... Ma che pensate mai?...

Str. Sì, a prenderti: è naturale.

Ellida. Ma voi sapete che io sono maritata.

Str. Lo so.

Ellida. Lo sapete e venite qui... per prendermi.

Str. Certamente.

Ellida. (nascondendosi la testa fra le mani) Quello sguardo, sempre quello sguardo spaventevole!

Str. Forse tu.... non vorresti più...?

Ellida. (con orrore) Non mi fissate a quel modo!

Str. Ti domando se ora non vuoi più...?

Ellida (con orrore) No, no; non voglio, non voglio! Ho detto che non voglio, che non posso, che non voglio.... (con voce più bassa) Non devo più....

Str. (scavalca la siepe ed entra in giardino) Ellida, debbo dirti una cosa prima di partire.

Ellida. (vorrebbe andare ma rimane paralizzata dall’orrore, appoggiata ad un albero, presso lo stagno). Non mi toccate! non avvicinatevi!... Vi ripeto, non toccatemi!

Str. (avvicinandosi dolcemente di qualche passo) Ellida, non devi aver paura di me.

Ellida. (coprendosi gli occhi con le mani) Non mi fissate così!...

Str. Non aver paura, Ellida....

SCENA V. Detti e Wangel.

Wan. (entra in giardino dalla sinistra) M’hai dovuto aspettare molto.

Ellida. (si slancia verso di lui, si attacca al suo braccio, gridandogli) Oh! Wangel! salvami, salvami, se lo puoi!

[53]

Wan. Ellida, che cos’hai?

Ellida. Salvami Wangel! Non lo vedi dunque! È là! è là!

Wan. (guardando) Un uomo.... (avanzandosi verso di lui) Chi è lei, e perchè è entrato nel mio giardino?

Str. (indicando Ellida con un moto del capo) Debbo parlarle.

Wan. Ah! dunque era lei! (a Ellida) Mi dissero infatti che uno straniero era entrato in casa, ed aveva chiesto di te.

Str. Sì, ero io.

Wan. E cosa ha da dire a mia moglie? (voltandosi) Ma tu, Ellida, lo conosci?

Ellida. (a bassa voce e torcendosi le mani) Se lo conosco! Sì, sì, sì!...

Wan. Dunque?...

Ellida. Oh! Wangel, è lui... lui stesso! tu sai....

Wan. Possibile! (voltandosi) È lei Johnston?... È lei che molti anni or sono...?

Str. Mi chiami pure Johnston, se le fa piacere. Però non è questo il mio nome.

Wan. Lei non si chiama Johnston?

Str. No.

Wan. Che cosa vuole da mia moglie? La figlia del custode del faro, da molti anni si è maritata, e Lei non deve ignorare con chi si è sposata.

Str. Lo so da più che tre anni.

Ellida. (con interesse) E come lo avete saputo?

Str. Ero diretto qui: un giorno mi capitò tra mano un vecchio giornale e vi lessi l’annuncio del matrimonio.

Ellida. (fissando un punto innanzi a sè) Il matrimonio.... Sì, era ben quello.

Str. Quella notizia mi fece una grande impressione, perchè noi pure celebrammo una cerimonia, la cerimonia degli anelli: te ne ricordi Ellida; anche il nostro fu un matrimonio.

Ellida. (coprendosi il volto) Ah!

[54]

Wan. Come può lei osare?

Ellida. L’hai dimenticato? (sentendo lo sguardo dello straniero, grida) Non mi fissate più a quel modo!

Wan. (piantandosi di fronte allo straniero) È a me che deve parlare e non a lei! Ed ora che conosce la situazione, qui non ci ha più nulla da fare. Con qual diritto lei perseguita fino in casa mia, mia moglie?

Str. Avevo promesso a Ellida di venirla a prendere; essa m’aveva promesso di aspettare il mio ritorno.

Wan. Lei si permette di chiamare mia moglie col solo nome di battesimo. È una famigliarità che noi non permettiamo con le nostre donne, signore.

Str. Lo so, ma poichè essa era mia prima d’essere di altri....

Wan. Ancora!

Ellida. (retrocedendo fino a che viene a mettersi dietro Wangel) Egli non mi lascierà mai!

Wan. Dunque, lei crede che mia moglie le appartenga?

Str. Non vi ha raccontato la cerimonia degli anelli?

Wan. Sì, ma che importa: in seguito essa ha spezzato quei legami. Lei lo sa, perchè Ellida glielo scrisse.

Str. Ellida ed io abbiamo giurato che quella cerimonia la consideravamo come una cerimonia nuziale. Era un matrimonio.

Ellida. Ma io non voglio, capite? Non vi voglio più. Non mi fissate a quel modo! Vi ho già detto che non voglio!

Wan. Lei è pazzo se intende di avanzare dei diritti, basandosi solamente su tali fanciullaggini!

Str. È vero, non ho alcun diritto.... almeno nel senso in cui intende lei codesta parola.

Wan. Crede forse di poterla rapire con la forza e malgrado la sua volontà?

[55]

Str. No; Ellida deve seguirmi volontariamente!

Ellida. (stupefatta) Volontariamente?!

Wan. E lei osa credere?...

Ellida (c. s.) Volontariamente!

Wan. Ah, ma lei è un pazzo! Se ne vada, qui non ha niente da fare.

Str. (guardando il suo orologio) Tra poco dovrò imbarcarmi. (s’avanza di un passo) Ellida, io ho fatto il mio dovere. (s’avanza ancora) Ho mantenuta la mia parola.

Ellida. (retrocedendo in tono supplichevole) Non mi toccate, non mi toccate!

Str. Rifletti fino a domani sera....

Wan. Non c’è nulla da riflettere! Esca! Vada via di qui.

Str. (parlando a Ellida) Rimonto il fiordo sulla nave inglese, e tornerò domani sera. Tu mi aspetterai qui, in questo giardino. Preferisco non avere da fare che con te; mi capisci?

Ellida. (a voce bassa, tremante) Wangel, lo senti?

Wan. Sta tranquilla: gl’impediremo noi di tornare.

Str. Arrivederci Ellida, a domani sera.

Ellida (supplichevole) No, non tornate domani, non tornate!

Str. Sei tu pronta a venire con me, sul mare?...

Ellida. Non mi guardate a quel modo!

Str. Qualunque cosa avvenga, preparati per la partenza.... domani.

Wan. Entra in casa, Ellida.

Ellida. Non posso! Aiutami, salvami Wangel!

Str. Bada! ti avverto che, se domani non mi seguirai, tutto sarà finito tra noi e per sempre!

Ellida. (guardandolo tremante) Tutto sarà finito e per sempre?...

Str. (con un moto del capo) Per sempre, Ellida! Io non tornerò più in questo paese, tu non mi vedrai più, non avrai più mie notizie. Sarò morto per te!

Ellida. (con un sorriso) Ah!

[56]

Str. Rifletti dunque bene a ciò che stai per fare (scavalca la siepe, poi si ferma e dice) Ellida, preparati a partire domani sera. Io verrò a prenderti (parte lentamente dal sentiero di destra).

SCENA VI. Wangel ed Ellida.

Ellida. (seguendolo con gli occhi) M’ha detto «volontariamente», m’ha detto che debbo partire volontariamente con lui.

Wan. Sii ragionevole, Ellida; ora è partito e non tornerà più!

Ellida. No, tornerà domani sera.

Wan. Si provi a venire. In ogni caso, ti assicuro che tu non lo vedrai.

Ellida. (scuotendo la testa) Wangel, per quanto tu faccia non potrai impedirglielo.

Wan. Lascia fare a me.

Ellida. (pensierosa, senza ascoltare Wangel) Verrà domani sera, poi partirà sulla grande nave, per l’alto mare.... Sarà vero che non tornerà mai più!... mai più!...

Wan. Stanne sicura; che cosa vuoi che venga a fare qui? Tu stessa gli hai detto che non vuoi più saperne di lui. Questa volta è davvero finita!

Ellida. (tra sè) Dunque, o domani.... o mai....

Wan. E se osasse ritornare....

Ellida. (vivamente) Ebbene?

Wan. Troveremo il modo di renderlo innocuo.

Ellida. Non lo credere.

Wan. Eppure nulla di più semplice. Se non ti lascierà tranquilla, gli ricorderemo l’assassinio del capitano. Ciò lo renderà ragionevole.

[57]

Ellida (con violenza) No! no! questo no! Noi non sappiamo nulla dell’assassinio del capitano.

Wan. Nulla? Te l’ha confessato lui stesso!

Ellida. No, non m’ha detto nulla: se tu parli io ti smentisco. Quell’uomo non deve essere incarcerato; egli appartiene al mare. È là la sua vita!

Wan. (lentamente e fissandola) Ah Ellida! Ellida!

Ellida. (attaccandosi a lui con violenza) Mio Wangel, salvami.... salvami da quell’uomo!

Wan. (liberandosi dolcemente dalla sua stretta) Vieni, vieni con me.

SCENA VII. Detti, Lyngstrand e Hilda.

(Lyngstrand e Hilda vengono dallo stagno sempre con gli arnesi da pesca).

Lyng. (vivamente verso Ellida) Ah! signora, signora, debbo dirle una cosa straordinaria.... Abbiamo veduto or ora l’americano.

Wan. L’americano?...

Hilda. Sì, l’ho visto anch’io.

Lyng. Veniva dal giardino, andando verso la nave inglese.

Wan. Come conosce lei quell’uomo?

Lyng. Abbiamo servito sulla medesima nave, qualche anno fa. Io lo credevo morto ed invece l’ho ritrovato in piena vita!

Wan. Può darmi delle informazioni su lui?

Lyng. No: certamente è tornato per vendicarsi della sposa infedele.

Wan. Sarebbe a dire?

[58]

Hilda. Quell’americano ha fornito a Lyngstrand il soggetto per un’opera d’arte.

Wan. Non capisco.

Ellida. Più tardi saprai tutto.

SCENA VIII. Detti, Arnholm e Violetta.

(Arnholm e Violetta dal sentiero di sinistra ad di là del giardino).

Viol. Venite; la nave inglese rimonta ora il fiordo.

Lyng. (vicino alla siepe) Certamente questa notte si vendicherà.

Hilda. (con un segno affermativo del capo) Dell’infedele. Oh sì, questo è certo!

Lyng. Comincia ad interessarmi la cosa.

Ellida. (guardando verso la direzione della nave) Domani dunque....

Wan. E poi mai più.

Ellida. (a voce bassa, tremando) Salvami Wangel, salvami da me stessa!

Wan. (guardandola con ansia) Ellida, tu mi nascondi qualche cosa.

Ellida. È lui ciò che mi attrae....

Wan. Ma che ti attrae?

Ellida. Quell’uomo.... è come il mare.

(Ellida attraversa lentamente e pensierosa il giardino ed esce a sinistra. Wangel, inquieto, la segue fissandola con sguardo osservatore).

FINE DELL’ATTO TERZO.

[59]

ATTO QUARTO.

Stanza nel giardino del dott. Wangel. Porte a sinistra ed a destra. In mezzo a due finestre una porta a vetri, aperta, che dà sul giardino. A sinistra un divano, innanzi al divano una tavola. A destra un pianoforte, ed un po’ più in là verso il fondo una giardiniera. Nel mezzo una tavola rotonda circondata da sedie. Sulla tavola tra altre una pianta di rose. È il mattino.

SCENA I. Violetta e Lyngstrand.

(Vicino alla tavola di sinistra sta Violetta, seduta al divano e ricama. Lyngstrand è seduto su una sedia dall’altra parte della tavola. Si vede in giardino Ballested che dipinge; vicino a lui Hilda che lo guarda a lavorare).

Lyng. (Lyngstrand con i gomiti appoggiati sulla tavola rimane qualche istante silenzioso guardando Violetta a ricamare) Dev’essere molto difficile quel ricamo.

Viol. Non molto, basta contare bene i punti.

Lyng. Contare? Bisogna contare?

Viol. E come vorrebbe fare diversamente?

Lyng. È vero. Ma è quasi un lavoro artistico. Sa anche disegnare lei?

[60]

Viol. Ah sì, se ho un modello.

Lyng. In caso diverso, no?

Viol. No.

Lyng. Allora non è più un lavoro d’arte.

Viol. È piuttosto un lavoro di pazienza, per il quale ci vuole della pratica.

Lyng. Eppure io credo che lei potrebbe apprendere un’arte.

Viol. Io? ma non ho alcuna disposizione.

Lyng. Si consigli con un vero artista.

Viol. Lei crede che egli potrebbe insegnarmi?...

Lyng. Insegnarle no, ma io credo che la sua arte penetrerebbe in lei a poco a poco, insensibilmente, come per incanto.

Viol. Ciò sarebbe strano.

Lyng. (dopo breve pausa) Ha lei mai pensato seriamente al matrimonio?

Viol. (guardandolo di sottecchi) Al matrimonio?... no.

Lyng. Io sì invece.

Viol. Davvero?

Lyng. Certamente; penso sovente a certe cose e al matrimonio in ispecial modo: anzi ho letto molto in proposito. Credo che il matrimonio sia una specie di prodigio, che la donna si trasformi successivamente e finisca per rassomigliare a suo marito.

Viol. Lei vuol dire avere gli stessi gusti del marito.

Lyng. Sì, benissimo, appunto.

Viol. Sia pure, ma e la sua capacità? la sua abilità? il suo talento?

Lyng. Hum! vorrei sapere se anche tutto ciò....

Viol. Lei dunque crede che tutto quanto un uomo ha appreso con la lettura o con la riflessione, possa trasmetterlo a sua moglie?

Lyng. Sì, a poco a poco, come per un prodigio. Ma so benissimo che questo può avvenire solamente in un matrimonio bene assortito e fortunato.

[61]

Viol. Non si è mai chiesto lei se, un uomo nella stessa maniera possa rassomigliare a sua moglie?

Lyng. Un uomo? Non lo credo possibile.

Viol. Ma perchè l’una sì e l’altro no?

Lyng. Perchè l’uomo ha una vocazione per la quale egli vive: ed è appunto ciò che gli dà tanta forza, tanta energia.

Viol. Dunque tutti gli uomini?

Lyng. Ah, no; intendo parlare sopratutto degli artisti.

Viol. Lei approva un artista che prende moglie?

Lyng. Sì, purchè egli sposi una donna che ama veramente.

Viol. Invece a me pare che un artista dovrebbe vivere solamente per la sua arte.

Lyng. Certo, ma il matrimonio non gl’impedisce di occuparsi della sua arte.

Viol. Sia pure, ma quale sarà, in questo caso, lo scopo della vita della moglie?

Lyng. Essa pure vivrà per l’arte del marito; questa mi pare, costituisca già una grande felicità.

Viol. Non ne sono sicura.

Lyng. È certo, signorina, è certo. Non solamente per gli onori e la stima di cui godrà per lui, ma sopratutto perchè potrà aiutarlo a creare, perchè gli renderà meno penoso il lavoro incoraggiandolo, perchè gli renderà la vita dolce e bella. A me pare che tutto ciò debba infiammare lo spirito di una donna.

Viol. Lei non comprende fino a qual punto si mostra egoista, parlando così!

Lyng. Io egoista? io? Se mi conoscesse meglio, signorina Wangel.... (chinandosi su lei) Quando, tra poco, non sarò più qui....

Viol. (guardandolo con compassione) Non si angustii.... adesso.

Lyng. E perchè dovrei essere triste?

Viol. A che cosa pensava allora?

Lyng. Alla mia partenza che sarà tra un mese. Andrò nel Mezzogiorno.

[62]

Viol. Sì, lo so.

Lyng. Penserà a me, qualche volta?

Viol. Certo, e con piacere.

Lyng. (contento) Davvero, e lei me lo promette?

Viol. Sì, glielo prometto.

Lyng. (insistendo) Ma me lo promette sul serio?

Viol. Sì, su serio. (cambiando tono) E perchè vuole questa promessa, a che cosa le può servire?

Lyng. Oh! non lo dica! Sarei così felice di poter dire che v’è qualcuno qui che pensa a me!

Viol. Ebbene, eppoi?

Lyng. Non oso sperare di più....

Viol. Io neppure. Vi sono molte cose che ci si oppongono.... mi sembra quasi che tutto si opponga....

Lyng. Ci vorrebbe un miracolo; uno di quei casi che.... Malgrado tutto io ora credo che la felicità mi seguirà.

Viol. (animata) Ah! lei crede?...

Lyng. Ne sono convinto. Eppoi, tra qualche anno, quando tornerò qui, sarò uno scultore celebre, avrò un gran nome, avrò riacquistato la mia salute.

Viol. Noi lo speriamo ardentemente.

Lyng. Lo speri senza tema, lei che penserà a me durante il mio soggiorno nel mezzodì, perchè lei me l’ha promesso non è vero?

Viol. Ho dato la mia parola. (scuotendo la testa) Ma non le servirà nulla.

Lyng. Oh, si! mi aiuterà a lavorare.

Viol. Lo crede?

Lyng. Lo sento, e mi pare che a lei pure non dovrebbe dispiacere il pensare che mi sarà d’aiuto nella mia opera d’arte.

Viol. (guardandolo) Ma lei, da parte sua?

Lyng. Io?

Viol. (guardando verso il giardino) Parliamo d’altro. Vedo venire il professore.

(Arnholm appare nel giardino a sinistra, si ferma e chiacchiera con Ballested e Hilda).

[63]

Lyng. Lo ama dunque molto, lei, il suo vecchio professore?

Viol. Se io lo amo?

Lyng. Sì.... lei ha molta amicizia per lui.

Viol. Certamente, egli un così buon amico, un così saggio consigliere.

Lyng. È singolare che egli non abbia ancora preso moglie.

Viol. Lo trova strano ciò?

Lyng. Sicuro, perchè si dice che sia in buonissima posizione.

Viol. È possibile; ma forse non avrà trovato una donna che lo voglia.

Lyng. E perchè?

Viol. Perchè egli è stato il professore di quasi tutte le ragazze che conosce e, si sa, non si sceglie mai come sposo, un nostro antico professore....

Lyng. Lei non crede che una giovane possa innamorarsi del suo professore?

Viol. No, ammenochè essa non sia molto, ma molto giovane.

Lyng. Ah!... Dite davvero?

Viol. (con un segno di avvertimento) Ma silenzio, eccolo qui.

(Ballested prende il cavalletto, il pliant, ecc. e attraversa il giardino dirigendosi verso destra. Hilda l’aiuta. Arnholm sale sulla terrazza ed entra nel salone).

SCENA II. Detti e Arnholm.

Arn. Buon giorno, mia cara Violetta. Buon giorno, signore. (guarda e saluta Lyngstrand con aria di malcontento. Lyngstrand invece gli fa un grande inchino e si alza).

[64]

Viol. Buon giorno, signor Professore.

Arn. Come sta oggi?

Viol. Non c’è male, grazie.

Arn. La sua matrigna è andata anche oggi a prendere il suo bagno?

Viol. No, è ancora nella sua camera.

Arn. Non si sente forse bene?

Viol. Non lo so; si è chiusa in camera.

Arn. Hem.... davvero?

Lyng. Si direbbe che alla signora Wangel l’arrivo dell’americano abbia fatto una grande impressione.

Arn. Come fa a saperlo lei?

Lyng. Lo vidi passeggiare ieri in giardino proprio lui, in carne ed ossa e lo dissi io alla signora Wangel.

Arn. Ora capisco.

Viol. Lei, signor professore rimase a discorrere a lungo iersera con papà?

Arn. Sì, un po’! Abbiamo parlato di cose serie.

Viol. Ha trovato modo di parlare anche di me.... dei miei desideri.

Arn. No, cara Violetta. Mi è stato impossibile, suo padre era preoccupato da altre cose.

Viol. (con un sospiro) Eh sì, lo è sempre!

Arn. (guardandola) Oh, ne parleremo, ma più tardi. E suo padre dov’è? È uscito forse?

Viol. No, deve essere in studio: vado a cercarlo.

Arn. Grazie, non s’incomodi, preferisco andarci io.

Viol. (stando in ascolto) Aspetti, mi pare che egli scenda ora le scale. Forse era salito da lei. (Wangel entra dalla porta sinistra).

[65]

SCENA III. Detti e Wangel.

Wan. (stendendo la mano ad Arnholm) Caro amico, già qui? Ha fatto benissimo a venire così presto, ho da parlare ancora.

Viol. (a Lyngstrand) Andiamo a raggiungere Hilda in giardino?

Lyng. Come crede, signorina. (Lyngstrand e Violetta scendono in giardino e si dirigono verso il fondo)

SCENA IV. Arnholm e Wangel.

Arn. (che li ha seguiti coll’occhio) Lo conosce bene, lei, quel giovane?

Wan. Io no.

Arn. E le sembra giusto che stia sempre vicino alle sue figliuole?

Wan. Crede? In verità non me ne sono accorto.

Arn. Questo è male, lei deve farci attenzione invece.

Wan. Ha ragione, ma che posso io? Le mie ragazze sono abituate a guidarsi da loro stesse e non vogliono ricevere osservazioni nè da me, nè da Ellida.

Arn. Neppure da lei?

Wan. No, e d’altra parte io non posso esigere da [66] Ellida che si occupi delle mie figlie. (interrompendosi) Ma non era di questo che dovevamo parlare. Mi dica, ha ben riflettuto su quanto le dissi?

Arn. Dacchè ci siamo lasciati, non ho pensato ad altro.

Wan. E che cosa mi consiglia?

Arn. Caro dottore, a me sembra che lei come medico dovrebbe sapere meglio di me...

Wan. Se sapesse quanto è difficile per un medico di giudicare del male di una persona a lui cara.... In questo caso poi non si tratta di una malattia ordinaria e non è un solito medico, nè le solite medicine che potranno guarirla.

Arn. Come sta oggi?

Wan. Sono stato or ora nella sua camera e mi parve tranquilla, ma sotto quel continuo variar di umore si nasconde un mistero che non posso chiarire e che la rende così incostante, così irrequieta.

Arn. Ciò può dipendere anche dal suo stato d’animo malato.

Wan. Sì in parte ma non è tutto. Ellida appartiene ad una generazione di marinai. Ecco la vera ragione.

Arn. Davvero, dottore, non comprendo il senso di queste sue parole.

Wan. Non ha mai notato come tutti coloro i quali vivono sul mare costituiscano una specie di popolo a parte? Si direbbe che essi vivano della vita stessa del mare. Nei loro pensieri, come nei loro sentimenti vi è una continua ondulazione, un continuo flusso e riflusso: essi non si acclimatizzano in nessun altro luogo. Ah! se l’avessi pensato prima: fu un grande errore il mio di togliere Ellida di laggiù.

Arn. Lei dunque ha finito col persuadersi di ciò.

Wan. Sì, ma avrei dovuto pensarci prima: io lo presentivo senza volerlo confessare a me stesso, ma l’amavo tanto che da vero egoista, non ho pensato che a me.

[67]

Arn. Eh! In simili casi tutti gli uomini diventano un poco egoisti. D’altra parte dottore, io non mi sono mai accorto che lei sia un egoista.

Wan. (passeggiando con inquietudine per la scena). Sì, un egoista, lo fui e lo sono ancora, sono molto più vecchio di lei, potrei farle da padre e da guida. Il mio dovere era di conoscere tutti i pensieri di mia moglie. Disgraziatamente non ho fatto nulla di ciò. Non ebbi energia, volli averla come era, il suo stato si è aggravato ma io non me ne sono dato pensiero e l’ho condotta qui. Ecco perchè nella mia disgrazia mi sono ricordato di lei, e l’ho pregata di venir da noi.

Arn. (guardandosi stupito) Come, è questa la ragione per cui mi ha chiamato?

Wan. Sì, ma per carità, non ne faccia parola con alcuno.

Arn. Io mi domando in che cosa posso esserle utile.

Wan. Che vuole, mi sono ingannato: credevo che Ellida in altri tempi l’avesse amato, che ella l’amasse ancora un poco, segretamente: credetti che le dovesse recar piacere il riveder lei ed il poter discorrere con una persona del suo paese che la conobbe quando era felice.

Arn. Dunque lei alludeva a sua moglie scrivendomi che qui vi era una persona che mi aspettava la quale sarebbe stata contenta di vedermi.

Wan. E a chi voleva mai che alludessi?

Arn. (con prontezza) È vero: lei ha ragione, ma io non avevo compreso.

Wan. È naturale giacchè io mi sono sbagliato.

Arn. E lei poi dice che è un egoista.

Wan. La mia colpa verso Ellida è tanto grande che non posso trascurare di tentare alcuna cosa che possa far cessare un poco la sua melanconia.

Arn. In che modo spiega il dominio che codesto straniero ha sopra Ellida?

[68]

Wan. Mio caro amico, è inesplicabile!

Arn. Inesplicabile?

Wan. Almeno per ora.

Arn. Crede lei a un’influenza misteriosa?

Wan. Sì e no. L’ignoro e non posso discutere.

Arn. Sia pure, ma è così spaventosa quell’idea strana degli occhi del bambino?

Wan. (vivamente) Alla storia degli occhi io non credo, non voglio crederci: deve essere un’illusione della sua fantasia e nulla più.

Arn. Ha bene osservato ieri gli occhi di quello straniero? non ha trovato alcuna rassomiglianza?

Wan. Che le posso dire? Non era ben chiaro quando l’ho veduto. Eppoi Ellida mi aveva tanto parlato di questa rassomiglianza che non potevo giudicare imparzialmente.

Arn. Ma e l’altro fenomeno? Quella paura, quella ansietà che si è impadronita di lei quando tre anni fa, egli si mise in cammino per venire qui?

Wan. L’immaginazione ha la sua parte in tutto questo: è dall’altro giorno che Ellida non fa che pensare a quell’uomo, e questo suo stato non si è manifestato subitamente come essa pretende, bensì dopo aver saputo dal giovane Lyngstrand che Johnston o Friman, che sia, si era imbarcato or sono tre anni, per tornar qui nel mese di marzo. Fu in quel momento che essa credette che il turbamento della sua mente, le sue torture fossero cominciate appunto in quell’epoca.

Arn. E non è vero?

Wan. No. Da molto tempo essa vi aveva predisposizione e fu solo il caso che volle avesse una crisi violenta tre anni fa, nel mese di marzo....

Arn. Ah! vede....

Wan. Sì, ma questo si spiega con le circostanze anormali in cui si trovava: allora era in istato interessante.

[69]

Arn. Dunque sintomi contro sintomi.

Wan. (stringendo i pugni) E non poterla aiutare e non avere alcun mezzo per salvarla!

Arn. Se lei potesse deciderla a cambiar cielo, andar via di qui, portarla a vivere in luoghi che maggiormente le confacciano.

Wan. E crede che non glielo abbia di già proposto? Le offersi di andarmi a stabilire con lei a Skjoldvik, ma non ha voluto.

Arn. Davvero?

Wan. Mi rispose che sarebbe stato inutile, e credo anch’io che essa abbia ragione.

Arn. Come.... crede?

Wan. E poi.... ho riflettuto. Io non ho il diritto, per le mie figliuole, di andarmi a relegare laggiù in quell’angolo perduto dell’universo. È necessario che viva nel mondo per trovare un marito a quelle ragazze.

Arn. Maritarle? diggià?

Wan. Sicuro. E d’altra parte io ho anche l’obbligo di soccorrere la mia povera ammalata, la mia Ellida. Ah! caro Arnholm non so dove batter la testa: sono fra l’incudine e il martello.

Arn. In quanto a Violetta non deve preoccuparsene.... (interrompendosi) Vorrei sapere dove è.... dove sono andati quei due giovani....

Wan. (avvicinandosi al pianoforte) Per quelle tre creature io farei qualunque sacrificio... sapessi soltanto il come (Ellida entra dalla porla di sinistra).

SCENA V. Detti ed Ellida.

Ellida. (entrando in fretta a Wangel) Non uscire questa mattina te ne supplico.

Wan. No, no, te lo prometto, (addita Arnholm che si avvicina) Ma non saluti il professore?

[70]

Ellida. (voltandosi) Ah! è qui signor Arnholm? (stendendogli la mano) Buon giorno.

Arn. Buon giorno signora. Oggi non è andata a prendere il suo bagno?

Ellida. No, no.... non si tratta di questo oggi. Vuol sedersi un momento?

Arn. Grazie, signora, non posso (guardando verso la terrazza) Ho promesso alle ragazze di raggiungerle in giardino.

Ellida. Le sarà difficile trovarle in giardino: io non ci sono mai riescita.

Wan. Saranno dalla parte dello stagno.

Arn. Oh! saprò trovarle (saluta, va sulla terrazza, l’attraversa e scende in giardino).

SCENA VI. Wangel ed Ellida.

Ellida. Wangel, che ore sono?

Wan. (guardando l’orologio) Le undici.

Ellida. Questa notte tra le undici e mezzanotte arriverà il battello. Perchè non è già passato quel momento?

Wan. (avvicinandosi) Mia cara Ellida, debbo farti una domanda.

Ellida. Quale?

Wan. L’altra sera quando eravamo al Belvedere, mi hai detto che più d’una volta ti apparve innanzi la figura dello straniero.

Ellida. È vero.

Wan. Come lo vedevi?

Ellida. Come lo vedevo?

Wan. Voglio dire come ti appariva, sotto quale forma.

Ellida. Ma, caro Wangel, ora lo conosci tu pure.

[71]

Wan. Nelle tue allucinazioni t’appariva come lo abbiamo veduto ieri?

Ellida. Sì, certo.

Wan. Come mai allora, ieri non l’hai riconosciuto subito?

Ellida. (stupita) Non l’ho riconosciuto subito?

Wan. No. Mi hai tu stessa detto che quando è apparso al di là della siepe, tu non sapevi chi era.

Ellida. (colpita) Hai ragione. È singolare che io non l’abbia subito riconosciuto.

Wan. Mi hai detto pure che a causa dei suoi occhi che....

Ellida. Ah! sì, gli occhi! quegli occhi!

Wan. L’altra sera però, sul Belvedere, sostenevi che egli ti compariva come quando vi lasciaste laggiù dieci anni or sono.

Ellida. Io ho detto questo?

Wan. Sì.

Ellida. La sua figura era quasi uguale a quella d’oggi.

Wan. No. L’altra sera mentre ritornavamo a casa ne hai fatto un ritratto ben differente. Dieci anni fa, come ho saputo da te, non aveva barba; era vestito in un altro modo, portava una spilla con una perla strana... E l’uomo di ieri non l’aveva....

Ellida. È vero! è vero!

Wan. (fissandola) Rifletti un poco, cara Ellida. Procura di ricordarti precisamente quale era la sua fisionomia, quando eri a Brathammeren.

Ellida. (chiudendo gli occhi) Non lo vedo distintamente, oggi mi è impossibile. È strano.

Wan. Non è strano! una nuova visione, quella della realtà ti si porta innanzi agli occhi e ti nasconde l’ombra in modo che tu non la vedi più.

Ellida. Lo credi, Wangel?

Wan. Sì, questa realtà proietta la sua ombra [72] sulla tua fantasia di donna malata: ecco perchè è bene che essa si sia mostrata.

Ellida. Un bene?... Lo credi un bene?

Wan. Sì, è un bene che quest’uomo sia venuto: lui stesso ti procurerà la guarigione.

Ellida. (sedendosi sul divano) Wangel, siedi vicino a me, sento il bisogno di aprirti tutto il mio cuore.

Wan. (siede ad una sedia dall’altra parte della tavola) Ti ascolto.

Ellida. Fu per noi una sciagura il nostro matrimonio.

Wan. (stupito) Che dici?

Ellida. Sì. Una disgrazia e non poteva essere altrimenti: non poteva essere felice un’unione, come la nostra, avvenuta in quelle condizioni.

Wan. Ellida, di che cosa mi puoi rimproverare?

Ellida. Parliamoci francamente; smettiamo di mentire.

Wan. Mentire?

Ellida. Sì, noi siamo menzogneri, o almeno, nascondiamo la verità. E la verità, la pura verità è che tu sei venuto laggiù e mi hai comprata.

Wan. Comprata? E tu puoi dirmi?...

Ellida. E come potrei definire in altro modo il nostro matrimonio? Non potevi più sopportare la solitudine; cercavi un’altra moglie...

Wan. E un’altra madre per le mie figlie.

Ellida. Forse. Però questo non era il principale sentimento che ti animava; tu, del resto, ignoravi completamente che io potessi adempiere a quel compito. Tu mi avevi appena veduta... non mi avevi indirizzato che poche parole... insomma, tu mi desideravi...

Wan. Dà pure al mio amore il nome che vuoi.

Ellida. Io, dal mio canto, mi trovavo abbandonata, sola. Quando venisti, accettai senz’altro, di dividere la vita con te.

Wan. Io ti chiesi francamente se eri disposta a [73] dividere con me e le mie figlie la modesta esistenza.

Ellida. È vero: non avrei dovuto accettare: non avrei dovuto vendermi! Dovevo piuttosto lavorare come una miserabile e conservare la mia volontà e la mia libertà.

Wan. (alzandosi) Dunque, in questi cinque o sei anni durante i quali abbiamo vissuto insieme, non sei stata molto felice?

Ellida. No, Wangel non ci pensare. Io sono stata fatta segno, in casa tua, a tutte le cure più amorose; ma in questa casa io non ci sono entrata completamente di mia volontà... ed ecco da dove hanno origine i miei mali.

Wan. (guardandola) Non sei venuta completamente di tua volontà?

Ellida. No, non fu volontariamente che ti ho seguito.

Wan. Volontariamente... mi ricordo che questa parola la disse anche ieri lo straniero.

Ellida. Questa parola riassume tutto, spiega tutto. Ora io comprendo molte cose...

Wan. Che cosa?

Ellida. Comprendo che la vita che noi conduciamo non è, in realtà, una vita coniugale.

Wan. (con amarezza) È vero! La nostra vita non è quella di due sposi!

Ellida. Non lo è stata mai: neppure nei primi tempi della nostra unione. Il primo matrimonio sarebbe stato un’unione vera e perfetta!

Wan. Il primo matrimonio? Quale?

Ellida. Il mio matrimonio con lui.

Wan. (stupito) Non ti comprendo!...

Ellida. Non diciamo menzogne, Wangel, è indegno di noi.

Wan. Continua allora.

Ellida. Tu pure riconoscerai che una promessa volontaria è un legame ben più valido di un matrimonio.

Wan. Ma, mio Dio!

[74]

Ellida. (alzandosi molto agitata) Permettimi di lasciarti, Wangel.

Wan. Ellida!

Ellida. Bisogna che tu me lo permetta. Credimi, è così che dobbiamo lasciarci dopo la stranezza del nostro matrimonio.

Wan. (con profondo ma rassegnato dolore) Dovevamo dunque arrivare a questo punto!

Ellida. Era inevitabile!

Wan. In questi anni di matrimonio dunque non ho saputo conquistarti, non ti ho mai interamente posseduta.

Ellida. Wangel, se potessi amarti quanto vorrei, quanto lo meriti, ma, lo sento, questo non sarà mai possibile.

Wan. È il divorzio allora? Un divorzio regolare e legale che tu vuoi?

Ellida. Non mi hai compreso: non annetto alcuna importanza alla forma; voglio solamente che noi ci dividiamo volontariamente.

Wan. (fa un triste segno di approvazione) Scindere il contratto.

Ellida. Sicuro, scindere il contratto.

Wan. E dopo?

Ellida. Accada ciò che deve accadere! Ciò di cui ti prego, di cui ti supplico è di lasciarmi partire, di rendermi la mia completa libertà.

Wan. È orribile quanto mi chiedi! Lasciami il tempo di riflettere....

Ellida. Non ho tempo da perdere: mi occorre oggi stesso, la mia libertà.

Wan. Perchè?

Ellida. Perchè egli arriva questa notte.

Wan. (retrocedendo) Egli arriva?! Lui! Dunque è per lui che vuoi questo?

Ellida. Voglio che mi trovi libera.

Wan. Ellida, io non posso restituirti oggi la tua libertà. Non ne ho neppure il diritto, perchè a me corre l’obbligo di proteggerti: questo è il mio dovere e lo compirò.

Ellida. Proteggermi? Proteggermi contro chi? [75] Contro che cosa? Nessuno vuol farmi violenza, nessuno mi minaccia; questa forza suprema che tu chiami «orribile» non è nel mondo esterno, ma in me stessa. Come puoi tu combatterla?

Wan. Posso aiutarti, darti coraggio per lottare.

Ellida. Sì, se volessi lottare!

Wan. Allora tu non lo vuoi!

Ellida. È appunto questo che ignoro io stessa.

Wan. Ellida, questa notte, tutto sarà deciso.

Ellida. (con slancio) Sì, finalmente siamo vicini all’ora decisiva.

Wan. E domani?

Ellida. Domani forse, il mio avvenire, il mio vero avvenire l’avrò perduto per sempre.

Wan. Il tuo vero avvenire?

Ellida. Sì, tutta una vita di libertà. Perduta.... perduta e forse anche per lui!

Wan. (a voce bassa e prendendole una mano) Ellida, lo ami quello straniero?

Ellida. Se io?... lo so forse? Io so solamente che per me è il mistero.... l’orribile è che....

Wan. (interrompendola) È che...?

Ellida. (svincolandosi dalla stretta) È che mi pare appartenergli.

Wan. (abbassando il capo) Domani egli sarà partito, tu non sarai più in pericolo. Domani, Ellida, sarò pronto a restituirti la libertà; a scindere il mercato.

Ellida. Wangel! Ma domani sarà troppo tardi!

Wan. (guarda verso il giardino) Le ragazze, ecco le ragazze! Facciamo che fino all’ultimo esse non si accorgano di nulla.

[76]

SCENA VII. Detti, e Arnholm, Violetta, Hilda, Lyngstrand.

(che vengono dal giardino e salgono la terrazza. Lyngstrand saluta ed esce da destra; gli altri entrano nel salone).

Arn. Abbiamo fatto dei grandi progetti.

Hilda. Questa sera vogliamo andare sul fiordo, e....

Viol. (interromp.) Sta zitta!

Wan. Anche noi abbiamo fatto dei progetti. Ellida, questa sera, parte per Skjoldvik, ove si tratterrà qualche tempo.

Viol. Parti?

Arn. Fa bene, signora Wangel.

Wan. Ellida vuol tornare a casa sua! Ritornare alla riva del mare.

Hilda. (correndo verso Ellida) Tu parti? tu ci lasci?

Ellida. (spaventata) Hilda, che cos’hai?

Hilda. (dominandosi) Nulla, nulla. (allontanandosi dice a bassa voce) Tu puoi partire, tu!

Viol. (con spavento) Babbo, ti leggo in viso che tu pure partirai per Skjoldvik.

Wan. No, non v’andrò, forse, che di quando in quando.

Viol. E noi? e questa casa?

Wan. Starò anche qui.

Viol. Di quando, in quando?

Wan. Fanciulla mia, è necessario! (va al fondo).

Arn. (a bassa voce) Ci parleremo più tardi, Violetta. (s’avvicina a Wangel).

Ellida. (a Violetta piano) Che cosa aveva Hilda? Mi parve commossa.

[77]

Viol. Non hai capito ciò che Hilda di giorno in giorno, aspetta?

Ellida. No. Che cosa?

Viol. Una parola amorevole da te, una sola!

Ellida. Ah!... Avevo dunque un compito da adempiere qui?

Viol. (guarda la porta di destra, poi ne apre l’uscio) Babbo, la colazione è pronta.

Wan. (dominandosi per mostrarsi calmo) Grazie. Prego, professore, passi prima lei. Andiamo a tavola e, vuotando i nostri bicchieri daremo il saluto alla donna del mare!

(Tutti si incamminano a destra).

FINE DELL’ATTO QUARTO.

[78]

ATTO QUINTO.

La scena rappresenta il fondo del giardino, molto vicino allo stagno. È una sera d’estate. Crescente crepuscolo.

SCENA I. Arnholm e Violetta, Lyngstrand e Hilda. indi Ballested.

(Arnholm e Violetta, Lyngstrand e Hilda in un canotto vengono da sinistra).

Hilda. Da qui si può benissimo saltare a terra.

Arn. No, signorina, no.

Lyng. Io non so saltare.

Viol. E lei, professore, anche lei non sa saltare?

Arn. Preferisco non fare questa prova.

Viol. Dirigiamoci allora, verso la scaletta della cabina del bagno.

(Il canotto torna a muoversi e scompare a destra. Nello stesso tempo entra Ballested portando dei libri e un corno da caccia, egli viene dal sentiero di destra e si volge verso la barca parlando con chi vi sta dentro. Si odono le risposte che per la distanza, vanno sempre più affievolendosi).

Ball. Che cosa dice? Sicuro, fu in causa della [79] nave inglese. È l’ultima volta, per quest’anno, che approda qui. Se vogliono godere la musica non hanno tempo da perdere. (gridando) Che cosa? (scuotendo la testa) Non capisco quello che dicono.

SCENA II. Ellida, Wangel e detto.

(Ellida con la testa coperta da un velo, entra da sinistra seguita da Wangel).

Wan. Ti assicuro, Ellida, che manca ancora molto tempo.

Ellida. No, no, può arrivare da un momento all’altro.

Ball. (che è dall’altro lato della siepe del giardino) Buona sera, signor dottore; buona sera, signora.

Wan. (scorgendolo) Ah! è qui lei? Questa sera vi sarà ancora della musica?

Ball. Sì, la società dei suonatori di corno deve dare un concerto: questa è la stagione delle feste. Il concerto di questa sera è in onore della nave inglese.

Ellida. La nave inglese? Dunque è già in vista?

Ball. Non ancora; ma siccome essa viene dalle isole, laggiù, non la si può vedere che allorquando è quasi in porto.

Ellida. Sì! arriverà d’improvviso.

Wan. (voltandosi un poco verso Ellida) Questo di stanotte sarà il suo ultimo viaggio; poi non tornerà più.

Ball. È triste il pensiero. Noi, che, per parecchi mesi, siamo stati i figli spensierati dell’estate, [80] ora dobbiamo nuovamente avvezzarci al cupo inverno... Ci riesce duro... almeno in principio perchè poi si finisce con l’adattarsi a tutto.... con l’accla.... accli.... acclimatarsi: non è vero, signora? (saluta ed esce a sinistra).

SCENA III. Wangel ed Ellida.

Ellida. (guardando il fiordo) Oh! quanto si soffre nell’attesa, come fa male quest’impazienza del minuto decisivo!

Wan. Sei decisa a parlargli?

Ellida. È necessario: debbo fare liberamente la mia scelta.

Wan. Tu non hai da far scelta, Ellida: io non te lo permetto.

Ellida. Tu non puoi impedirmi di scegliere, nè tu, nè alcun altro. Puoi proibirmi di parlare con lui, di seguirlo, puoi tenermi qui a forza, ma non puoi proibirmi di decidere nell’animo mio, se questo è il mio dovere.

Wan. Hai ragione: non posso impedirtelo.

Ellida. Ed io non ho alcun mezzo per resistere! Nulla mi attrae qui, nulla mi trattiene: non ho posto radici in casa tua. Le tue figlie non mi amano, sono estranea al loro cuore, quelle giovani non le ho mai possedute. Se io parto, con lui, questa notte, o domani, per Skjoldvik, non ho neppure una chiave da consegnare loro, neppure un’ordine da dare: nulla mi lega alla tua casa dove non ebbi mai alcuna autorità.

Wan. Sei tu che hai voluto....

Ellida. No; io non ho desiderato nè chiesto nulla: lasciai che le cose procedessero nell’ordine in cui le avevo trovate il giorno del mio arrivo. Sei stato tu, tu solo a volerlo.

[81]

Wan. Credevo di farlo per il tuo bene.

Ellida. Lo so, Wangel, ma intanto questa casa non ha per me nè attrattive, nè legami: nulla mi chiama verso quanto avrebbe dovuto costituire la felicità comune; la nostra vita intima e sacra.

Wan. Comprendo anch’io tutto ciò. Ed ecco perchè domani ti renderò la libertà e per l’avvenire farai ciò che ti aggrada. Da sola guiderai la tua vita.... sì, la tua vera vita....

Ellida. E chiami questa la mia vita, la mia vera vita?... No, no; sbagliai il giorno in cui mi sono unita a te! (si torce le mani) E intanto, tra poco, sarà qui, colui al quale avrei dovuto rimanere fedele, come egli rimase a me. Egli sta per venire, fra mezz’ora sarà qui per offrirmi per l’ultima volta, di ricominciare la mia vita, la mia vera vita. Quella vita che mi spaventa e mi attrae allo stesso tempo ed alla quale non posso, non voglio rinunciare.

Wan. Appunto per questo, occorre che tuo marito, il quale è anche il tuo medico, sopprima la tua volontà ed agisca per te.

Ellida. Sì, Wangel, capisco che tu hai ragione, e ci sono dei momenti in cui mi sembra che dovrei trovare la pace e la salute avvicinandomi a te, che potrei provarmi a sfidare tutte codeste spaventevoli ed attraenti potenze.... ma non lo posso.... mi è impossibile!

Wan. Vieni, Ellida, rientriamo in casa....

Ellida. Lo vorrei ma non l’oso, mi disse di aspettarlo qui.

Wan. Vieni, vieni; c’è ancora tempo.

Ellida. Ma sei sicuro?

Wan. Sicurissimo.

Ellida. Allora andiamo a passeggiare un poco.

(escono dalla prima quinta di destra. Arnholm e Violetta compaiono contemporaneamente sulla riva dello stagno).

[82]

SCENA IV. Arnholm e Violetta.

Viol. (guardandoli mentre si allontanano) Eccoli là.

Arn. (a voce bassa) Li lasci allontanare.

Viol. Ma sa dirmi lei, che cosa avviene qui in questi giorni?

Arn. Si è accorta di qualche cosa?

Viol. Sì.

Arn. Qualche cosa di straordinario?

Viol. Di molte cose straordinarie!... E lei?

Arn. Ma io.... non saprei davvero....

Viol. Lei sa tutto ma non vuol parlare.

Arn. Credo che questo viaggio farà bene alla sua matrigna, e credo anche sarebbe un bene per tutti se, di quando in quando, facesse sempre qualche viaggio.

Viol. Se lei domani ritorna a Skjoldvik è certo che non tornerà più.

Arn. Perchè parla in tal modo? Suppone forse qualche cosa?

Viol. Non suppongo, ho la certezza che non tornerà mai più, almeno fino a che io ed Hilda rimarremo in casa.

Arn. Anche Hilda?

Viol. Forse, con Hilda sola potrebbe andare d’accordo: anche essa è poco più di una bambina e credo poi che Ellida le voglia bene. Ma con me è tutt’altra cosa: come è possibile? Una matrigna che ha quasi la mia stessa età!...

Arn. E chi sa che lei, Violetta, non abbia a uscire presto di casa.

[83]

Viol. (vivamente) Dunque lei ha parlato col babbo?

Arn. Sì.

Viol. E che cosa ha risposto?

Arn. Hem.... Suo padre, ha altre idee per il capo in questi giorni, e mi è parso di comprendere che non bisogna contare su lui.

Viol. (con grande sorpresa) Si spieghi meglio.

Arn. Mi ha chiaramente lasciato intendere la sua condizione, pretendendo che gli sarebbe impossibile....

Viol. (con rimprovero) Lei sapeva.... ed ha potuto ingannarmi?

Arn. Io non l’ho ingannata: dipende da lei l’andare via di qui o il rimanervi.

Viol. Da me?

Arn. Sicuro, da lei, dipende l’imparare tutto quanto più le piacerà, il vedere tutto ciò che vorrà vedere, il poter condurre insomma una vita più interessante di questa. Che ne dice?

Viol. (unendo le mani) Dio mio! E sarebbe ciò possibile! Babbo non vuole, ed io non ho altri al mondo.

Arn. Accetti l’aiuto del suo vecchio.... del suo antico professore.

Viol. Il suo aiuto? Lei, signor Arnholm, sarebbe disposto a....

Arn. Ad aiutarla? Sì, ne sarei felicissimo. È deciso? accetta lei?

Viol. Sì, accetto. Poter partire, vedere il mondo, imparare, conoscere! Ma è il mio sogno, il sogno che credevo irrealizzabile.

Arn. Ora potrà realizzare qualsiasi sogno.

Viol. E lei mi aiuterà a raggiungere questa immensa felicità? Posso io accettare un tale sacrificio da uno estraneo?

Arn. Lei può accettarlo da me Violetta; può accettare tutto da me.

Viol. (prendendogli le mani) Sì, non so perchè, ma sento che lo posso. (con slancio) Vorrei ridere [84] ed anche piangere dalla gioia. Io comincerò a vivere veramente, a conquistare questa vita che credevo dovesse sfuggirmi per sempre.

Arn. Non abbia più alcuna inquietudine per l’avvenire, però lei, Violetta, mi deve dire francamente se v’è qualche cosa che la trattenga qui.

Viol. No, nulla.

Arn. Nulla?

Viol. Che mi trattengano qui non ci sono che mio padre ed anche Hilda, ma....

Arn. Un giorno o l’altro sarà pure costretta a lasciare suo padre ed anche Hilda; lei prenderà altro cammino: è questione solo di tempo. Dunque all’infuori della sua famiglia, nessun’altra persona....

Viol. Nessuna: io posso andare anche in capo al mondo.

Arn. Allora Violetta lei partirà con me.

Viol. (battendo le mani per la contentezza) Dio mio, quale felicità.

Arn. Spero che avrà in me intera confidenza.

Viol. Oh sì, glielo prometto.

Arn. E non mi terrà mai nulla nascosto, non è vero, Violetta?

Viol. Sicuro, lei è il mio antico maestro, il mio professore d’altri tempi.

Arn. La prego.... non annetta grande importanza a questa.... dignità. Le aprirò sinceramente l’animo mio: lei è libera, completamente libera; le chiedo se vuole legarsi a me per tutta la vita.

Viol. (retrocedendo spaventata) Oh! che cosa dice?

Arn. Per tutta la vita, Violetta. Vuole divenire mia moglie?

Viol. (a voce bassa come parlando a sè stessa) No, no; è impossibile.

Arn. Sarebbe impossibile che....

Viol. Mio Dio, signor Arnholm, quanto mi ha [85] detto è cosa molto seria.... (fissandolo) Lei dunque pensava a ciò quando mi offriva poco fa di fare tanto per me?

Arn. Mi ascolti tranquillamente Violetta; la mia proposta la sorprende tanto?

Viol. E come non vuole che mi sorprenda, fattami da lei?

Arn. È naturale. Lei non sapeva, non poteva sapere che io ero venuto qui per lei.

Viol. Per me? Lei è venuto per me?

Arn. Sì, Violetta! mesi fa ho ricevuto una lettera da suo padre ed in quella una frase mi aveva fatto credere.... che lei avesse conservato per il suo antico professore.... eh.... qualche cosa di più di un ricordo amichevole.

Viol. Ma come, babbo ha potuto scriverle?....

Arn. L’errore era mio, egli alludeva a tutt’altro: ma io mi cullavo nell’illusione che una giovinetta mi attendesse e desiderasse rivedermi.... Non m’interrompa. Violetta. A uomini, non più troppo giovani, quale appunto io sono, tali illusioni cagionano profonda impressione. Io nutrivo, a suo riguardo, signorina, un sentimento forte, un’affezione riconoscente che ingigantiva in me: ho creduto fosse mio dovere partire, per rivederla e per dirle che io pure dividevo i sentimenti che credevo trovare in lei.

Viol. Ma poichè ha saputo che non è vero.... che si era sbagliato?...

Arn. Ciò non muta nulla. La sua immagine, Violetta, la sua immagine che da parecchi mesi ho scolpita in cuore vi rimarrà sempre nonostante il mio errore, malgrado tutto. Forse lei non comprende nemmeno questo sentimento che provo.

Viol. Non mi sarei immaginata mai nulla di simile.

Arn. Ma perchè ciò è successo non potrebbe ora lei.... decidersi a diventare mia moglie?

Viol. Come potrei.... lei che fu mio professore.... [86] non posso capacitarmi.... che lei diventi per me.... qualche cosa d’altro.

Arn. Lo crede impossibile? Ebbene, sia, mia cara Violetta, noi rimarremo sempre come prima.

Viol. Che cosa intende dire?

Arn. Intendo dire che io, naturalmente, manterrò ugualmente la mia promessa, e che ho sempre intenzione di condurla nel mondo per farglielo conoscere; che io le creerò una vita libera. Il suo avvenire sarà assicurato, lei troverà sempre in me l’amico buono, sincero, fedele; ne sia sicura.

Viol. Signor Arnholm, oramai anche tutto ciò è impossibile.

Arn. Anche questo è impossibile?

Viol. Dopo quanto mi ha detto; dopo la risposta che io le ho dato, lei deve capire che mi è impossibile accettare alcuna cosa da lei.

Arn. Preferisce rimaner qui e rinunciare alla vita a cui aspirava?

Viol. Con dolore bisogna che rinunci a questo sogno.

Arn. Vuole rinunciare a vedere il mondo? Ci pensi bene, Violetta. Quando suo padre non sarà più, lei si troverà qui senza appoggio, sola nel mondo e si vedrà costretta a darsi ad un altro uomo che non amerà di più di quello che non ami me.

Viol. Ha ragione: tutto quanto dice è vero. E nonpertanto.... chi sa!...

Arn. (ansioso) Ebbene?

Viol. (guardandolo indecisa) Forse non sarebbe del tutto impossibile....

Arn. Che cosa, Violetta?

Viol. Di.... accettare.... la sua.... proposta.

Arn. Sarebbe, malgrado tutto, disposta?... Violetta, mi conceda in ogni caso il bene di esserle amico fedele.

Viol. No, no! questo mai! No, signor Arnholm, preferisco essere moglie.

Arn. Davvero, Violetta?

[87]

Viol. Sì. Credo.... voglio.... Sì, se lei.... pensa ancora di.... volermi.

Arn. Se io lo penso! (prende la mano di Violetta) Oh! grazie, grazie Violetta! Tutto quanto mi ha detto, la sua indecisione di poco fa non mi spaventa: se anche oggi non possiedo tutto il suo cuore, saprò guadagnarmelo. Violetta, io le sarò di aiuto, di sostegno.

Viol. Lei però mi farà viaggiare, mi farà conoscere il mondo: me l’ha promesso.

Arn. Manterrò la parola.

Viol. Potrò imparare ciò che voglio?

Arn. Io stesso sarò il suo professore come in altri tempi. Si ricorda del suo ultimo anno di studi?

Viol. (con dolcezza e come sognando). Dunque sarò libera! libera di visitare altri paesi senza tema per l’avvenire! Senza alcuna preoccupazione.

Arn. Senza pensieri affatto, affatto! (cingendola col braccio) Noi ci creeremo un’esistenza tutta pace, tutta felicità.

Viol. Comincio a credere che tutto sia possibile. (guardando a destra e liberandosi dall’abbraccio) La supplico, per ora, di non lasciar scorgere nulla a nessuno.

Arn. Chi viene, mia cara?

Viol. È quel povero disgraziato (accenna col dito) Eccolo laggiù.

Arn. Chi? il dottore?

Viol. No, il giovane scultore che passeggia con Hilda.

Arn. Ah! Lyngstrand. Ebbene!

Viol. Lei sa quanto egli sia debole e sofferente.

Arn. Forse non è che un’illusione.

Viol. Purtroppo è triste realtà: non vivrà a lungo, e ciò, forse, è un bene per lui.

Arn. Perchè?

Viol. Perchè dubito che non riuscirà mai nella sua arte. Andiamocene prima che essi vengano.

Arn. Con piacere, cara Violetta.

[88]

SCENA V Hilda e Lyngstrand.

(Hilda e Lyngstrand appaiono sulla riva dello stagno).

Hilda. Ohè! Ohè! I signori illustrissimi non vogliono dunque attenderci?

Arn. Violetta ed io preferiamo passeggiare un poco.... (via con Violetta)

Lyng. (ridendo bonariamente) È curioso! In questo momento, in questa casa, tutti passeggiano a due a due!

Hilda (seguendo con gli occhi Arnholm) Scommetterei che sta per chiederla in moglie!

Lyng. Veramente? Lei dunque si è accorta di qualche cosa?

Hilda. Sicuro! E non era poi difficile, avendo due occhi che vedono bene.

Lyng. Ma io sono persuaso che la signorina Violetta non vorrà mai.

Hilda. Anch’io l’ho trovato molto invecchiato, e poi temo che presto rimanga calvo.

Lyng. E questa non è la sola ragione. Sono sicuro che non accetterà!

Hilda. Che cosa ne sa lei?

Lyng. So che vi è un’altra persona a cui ha promesso di pensare.

Hilda. Di pensare solamente?

Lyng. Sì, durante la sua assenza.

Hilda. Ah! dunque, senza dubbio, questa persona, è lei?

Lyng. Può essere.

Hilda. Violetta le ha promesso?...

[89]

Lyng. Sì, me l’ha promesso; ma la prego, smetta quel tono di dubbio.

Hilda. Si figuri: sono muta come una tomba.

Lyng. È stata cosa assai gentile l’avermi fatta quella promessa.

Hilda. E lei calcola di sposarla, quando ritornerà?

Lyng. No; non oso fare ora simili progetti. Se dovesse passare molto tempo, mi potrebbe parere un po’ troppo vecchia per me.

Hilda. Tuttavia, vuole che Violetta l’aspetti!

Lyng. Sì, perchè ciò mi sarà utile, molto utile per la mia arte; per lei, poi, che non ha uno scopo preciso nella sua vita, sarà facil cosa l’aiutarmi. Però io non le sono meno riconoscente.

Hilda. Crede dunque che potrà lavorare meglio alla sua opera, sapendo che Violetta, da lontano, pensa a lei?

Lyng. Senza dubbio; sapere che nel mondo vi è una giovane donna, delicata, silenziosa, che sogna di me.... ma questo deve essere la.... la... che parola posso dire?

Hilda. .... Ispirazione. Servirebbe ad ispirarla...

Lyng. Appunto questo. (la fissa per qualche secondo) Lei è intelligentissima, signorina Hilda; quando tornerò lei avrà gli anni che ora ha sua sorella, forse avrà anche la stessa apparenza, gli stessi pensieri. Lei e sua sorella forse, saranno fuse in una persona sola.

Hilda. E ciò le farà piacere?

Lyng. Ancora non lo so; ma credo di sì. Però per quest’estate preferisco che rimanga lei, niente altro che lei.

Hilda. Le piaccio dippiù così?

Lyng. Oh sì! mi piace tanto così com’è.

Hilda. Senta.... Mi dica, lei che è artista, le piace che porti sempre abiti di colore chiaro?

Lyng. Sì, molto.

[90]

Hilda. Trova che mi stanno bene questi abiti d’estate?

Lyng. Secondo il mio gusto, le stanno a meraviglia.

Hilda. Ma lei che è artista, come crede che io debba stare, vestita di nero?

Lyng. Di nero? signorina Hilda!

Hilda. Sì, crede che mi stia bene il nero?

Lyng. Il nero non è un colore da estate, ma dovrebbe, anche quel colore, starle a meraviglia.

Hilda. (fissando un punto innanzi a sè) Un abito nero, molto lungo, con piegoni neri tutto attorno alla sottana, dei guanti neri, e un gran velo fitto che ricadesse all’indietro....

Lyng. Se la vedessi così vestita desidererei d’essere pittore e le farei un delizioso ritratto, raffigurandola una giovane vedova, in lutto.

Hilda. Oppure, una fidanzata in lutto.

Lyng. Sì, piuttosto una fidanzata.... Ma perchè pensa a un simile abbigliamento?

Hilda. Non lo so, quest’idea mi seduce, mi attrae....

Lyng. L’attrae?

Hilda. Sì. (accennando a sinistra) Oh! guardi!

Lyng. (guardando) La nave inglese: tra poco si fermerà.

SCENA VI Detti, Wangel ed Ellida.

(Wangel ed Ellida appariscono sulla riva dello stagno).

Wan. Te l’assicuro, Ellida, t’inganni (scorgendo gli altri) Ah! siete qui, voialtri due. Dica un po’ signor Lyngstrand, non è ancora in vista non è vero?

[91]

Lyng. Il grande legno inglese?

Wan. Sì.

Lyng. (indicando) Eccolo là, signor dottore.

Ellida. Ah! lo sapevo bene.

Wan. Arrivato!

Lyng. Sì, arrivato, ed è il caso di dire, come un ladro notturno: silenziosamente, senza fare il minimo rumore.

Wan. Voialtri, senza dubbio, vorrete godere della musica.

Lyng. Sì, dottore; vi andiamo subito!

Wan. Vi raggiungerò tosto.

Hilda. (piano a Lyngstrand con malizia) Anche loro due vanno accoppiati.

(Lyngstrand e Hilda escono da sinistra. Da questo momento sino alla fine dell’atto si ode in lontananza, sui fiordi, suonare la musica, tutta composta di trombe e corni).

SCENA VII. Ellida e Wangel.

Ellida. Egli è qui... sì... lo sento!

Wan. Ellida, dà retta a me rientra in casa: lascia a me la cura di discorrere con lui.

Ellida. È impossibile! Ti ho detto che è impossibile! (getta un grido rauco) Ah! Wangel! eccolo! Lo vedi?

[92]

SCENA VII Detti e lo Straniero.

(Lo Straniero viene da sinistra e si ferma sul sentiero al di là della siepe).

Str. (salutando) Buona sera. Eccomi qui, Ellida.

Ellida. Sì, l’ora è suonata.

Str. Sei, o no, pronta a partire?

Wan. Vede bene che non lo è!

Str. Non guardo al suo costume da viaggio, nè mi curo di sapere se i suoi bauli sono pronti. A bordo, ho tutto quanto le può occorrere per il viaggio. Ho tenuto anche una cabina per lei. (a Ellida) Ti chiedo dunque, se sei pronta a seguirmi... volontariamente.

Ellida. (supplichevole) Non me lo chiedete. Non mi tentate in questo modo. (odesi in lontananza la campana della nave).

Str. È il primo segnale della campana. Bisogna che tu dica sì o no.

Ellida. (torcendosi le mani) La decisione! La decisione inesorabile per tutta la vita!

Str. Sì, inesorabile! Tra una mezz’ora sarebbe troppo tardi.

Ellida. (guardandolo timidamente e con attenzione intensa) Perchè mi desiderate così tenacemente?

Str. Non senti tu, come me, che noi ci apparteniamo l’un l’altro?

Ellida. Per la promessa?

Str. Le promesse non impegnano nessuno, nè gli uomini, nè le donne. Se io ti desidero così tenacemente si è perchè non posso fare altrimenti.

[93]

Ellida. (con voce dolce e tremante) Perchè non siete venuto prima?

Wan. Ellida!

Ellida. (con slancio) Ah! ciò che tenta, ciò che attrae, ciò che trascina verso l’ignoto! Eccola, la potenza del mare!

(Lo straniero scavalca la porta del giardino).

Ellida. (retrocedendo dietro Wangel) Che cosa è? Che volete?

Str. Ellida, lo vedo, lo sento come se tu stessa lo dicessi: malgrado tutto tu finirai per sceglier me.

Wan. (andando verso lo straniero) Mia moglie non ha nessuna scelta da fare. Io qui sono, non solo l’uomo che lei volle liberamente, ma anche il suo difensore: sì, il suo difensore! Sa lei a che cosa si espone se non se ne va subito di qui, e per sempre!

Ellida. Wangel! Wangel! No, non lo fare!

Str. Che vuol fare?

Wan. Lo farò arrestare come un assassino, prima che possa tornare a bordo. Come l’autore dell’assassinio di Skjoldvik.

Ellida. Wangel!

Str. Me l’aspettavo, e per questo (estrae una rivoltella) mi sono premunito.

Ellida. (gettandosi innanzi a Wangel) No! non l’ucciderete! Uccidete me piuttosto.

Str. Nè te, nè lui: sta pur tranquilla! Deve servire a me soltanto, per vivere e morire da uomo libero.

Ellida. (sempre più esaltata). Wangel, lascia che ti parli innanzi a lui: tu vuoi e puoi trattenermi qui, perchè hai la forza. Ma la mia anima, i miei pensieri, le mie inclinazioni, i miei desideri, non potrai mai incatenarli. Essi cercheranno e seguiranno questo mistero, quest’ignoto pel quale io mi sento portata, e nel quale tu mi proibisci d’entrare.

Wan. (con un dolore rassegnato) Comprendo, Ellida, [94] che tu mi sfuggi: il desiderio dell’infinito, dell’ideale irrealizzabile finiranno per gettare la tua anima nelle profonde tenebre della notte!

Ellida. Sì, sento sopra me il rumore prodotto dall’agitarsi di grandi ali nere!

Wan. Non voglio portarti fino a tal punto: ecco perchè sciolgo il contratto. Ora scegli il tuo cammino! Sei libera! completamente libera!

Ellida. (guardandolo per alcuni istanti con profondo stupore) È vero? Sono sincere le tue parole? Tu consenti?

Wan. Sì, col cuore lacerato, vi consento.

Ellida. Hai la forza di acconsentire?

Wan. Appunto perchè ti amo molto.

Ellida. (a bassa voce tremante) Avevo dunque un posto così grande nel tuo cuore?

Wan. Non abbiamo vissuto assieme per tanti anni?

Ellida. (giungendo le mani) Ed io che non avevo mai compreso quest’uomo!

Wan. I tuoi pensieri si drizzavano altrove! Da questo momento tu sei del tutto libera dai legami che ti avvincevano a me ed ai miei. Da questo momento puoi ritrovare il vero cammino della tua vita e seguirlo. Puoi scegliere liberamente, Ellida: tu ne sei responsabile.

Ellida (portandosi le mani al capo e fissando Wangel) Libera! responsabile! Qual cambiamento! (si ode la campana della nave).

Str. Senti, Ellida.... è l’ultimo avviso! Vieni?

Ellida. (si volge verso lo straniero, lo guarda a lungo, poi dice a voce alta) No, io non vi seguirò più dopo quanto è avvenuto ora!

Str. Non vuoi seguirmi?

Ellida. (avvicinandosi a Wangel) Non ti lascierò più ora che ho sentito le tue parole di testè.

Wan. Ellida! Ellida!

Str. Allora è finita?

[95]

Ellida. Sì, e per sempre!

Str. Capisco che qui vi è qualche cosa di più forte della mia volontà!

Ellida. La vostra volontà non ha più potere su me; per me, ora, siete un morto risorto dal mare e che vi ritorna. Ma non vi temo più, voi più non mi attraete.

Str. Addio, signora. (scavalca la siepe) Ormai non sarete più nella mia vita che un ricordo: il ricordo di un naufragio! (esce da sinistra).

SCENA IX. Wangel e Ellida.

Wan. (guardando Ellida per qualche istante) Ellida, la tua anima è come il mare: ha dei flussi e dei riflussi! Perchè questo cambiamento in te?

Ellida. Non comprendi che tale cambiamento doveva inevitabilmente avvenire, una volta che tu mi avevi dato la libertà di agire?

Wan. E quell’ideale, quel misterioso ignoto che ti attraeva?

Ellida. Ora non mi attrae più. Ho potuto contemplarlo, ho avuto la libertà di scrutarlo, ecco perchè vi ho rinunciato.

Wan. Comincio a comprenderti. I tuoi pensieri, i tuoi sentimenti, sono altrettanti enigmi ed allegorie: ciò che ti attraeva verso il mare, verso quello straniero, era un bisogno di libertà, che si è svegliato ed ingigantito in te, e nulla più.

Ellida. Non lo so. Ma tu sei stato un buon medico: hai trovato ed osato fare uso del vero mezzo, il solo che poteva salvarmi.

[96]

Wan. Noi medici, nei grandi pericoli, giuochiamo tutto. Ed ora sarai mia, non è vero, Ellida?

Ellida. Sì, mio caro, mio fedele Wangel, ora sarò tua.

Wan. Ellida, noi vivremo ora l’uno per l’altro....

Ellida. Dividendo i nostri comuni ricordi.

Wan. Sì.

Ellida. E il nostro amore per le nostre figlie.

Wan. Tu le chiami le nostre figlie!

Ellida. Sì: quelle ragazze di cui non posseggo ancora il cuore ma che saprò guadagnarmelo.

Wan. Le nostre figlie! (la bacia) Oh! grazie!

SCENA X. Detti, Hilda, Ballested, Lyngstrand, Arnholm e Violetta.

(Entrano nel giardino. Contemporaneamente il sentiero esterno si popola di giovani della città).

Hilda. (piano a Lyngstrand) Guardi babbo e mamma non sembrano due fidanzati?

Ball. (che l’ha intesa) È la stagione estiva, signorina.

Arn. (guardando Wangel ed Ellida) Ecco la nave inglese che parte.

Viol. (avvicinandosi alla siepe) Di qui la si vede meglio.

Lyng. È l’ultimo suo viaggio per quest’anno.

Ball. Presto ogni fiordo sarò rinchiuso, come dice il poeta. È triste, non è vero, signora Wangel! Ed ora noi la perdiamo per qualche tempo: ho inteso dire che domani parte per Skjoldvik.

Wan. No, quel viaggio è andato in fumo. Abbiamo cambiato d’avviso questa notte.

[97]

Arn. Oh! davvero?

Viol. Babbo, è dunque vero?

Hilda. (a Ellida) Resterai con noi?

Ellida. Sì, mia cara Hilda, se tu lo vuoi.

Hilda. (lottando fra le lagrime ed una grande tenerezza) Come, se io lo voglio?...

Ellida. (con un sorriso) Non si ricorda, signor Arnholm, ciò che dicevamo ieri? Quando si è vissuto per un po’ in terra ferma, più non si ritrova la strada del mare, non si ritorna più alla vita marina.

Ball. Appunto come la sirena del mio quadro!

Ellida. Press’a poco.

Ball. Con questa differenza, che la mia Sirena ne muore, mentre che noi, al contrario, possiamo far l’abitudine: possiamo accla.... accli... acclimatarci. Sì, sì, le assicuro, signora Wangel, che ci acclimatizziamo.

Ellida. Sì, Ballested; è necessaria però la coscienza di essere liberi.

Wan. E responsabili, mia cara Ellida!

Ellida. (prendendogli una mano) E responsabili. Hai ragione.

La grande nave parte. Tutti si dirigono verso il fondo della scena per vederla. Si ode la musica che si avvicina.

FINE.


Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.

*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 74825 ***